Abuso d'ufficio solo per atti contrari a condotte specifiche individuate da norme di legge
La rilevanza penale è connessa all'assenza di qualsiasi discrezionalità residua o alla violazione del dovere di astensione
Non scatta più l'abuso di ufficio per generiche violazioni di norme di legge o di regolamento, ma solo per atti commessi in violazione di specifiche regole di condotta, espressamente previste dalla legge (o da atti aventi forza di legge) e dalle quali non residuino margini di discrezionalità. Questo in seguito alla recente riforma del reato applicabile ai casi ancora pendenti. Su punto la recente sentenza n. 21643/2022 della Cassazione traccia i confini del reato dopo la riforma del 2020. Ma partiamo dal confronto tra vecchio e nuovo reato.
Le violazioni rilevanti
Quindi non rilevano più le fonti regolamentari (o comunque subprimarie), ma solo previsioni di legge di condotte specificatamente individuate e che non prevedano spazi di discrezionalità in capo al pubblico ufficiale. Vengono cioè in rilievo solo norme cogenti dell'azione amministrativa. E quando il pubblico ufficiale agisce nel perimetro della propria discrezionalità amministrativa non può scattare il reato a meno che risulti distorto l'agire della pubblica amministrazione. Infatti, l'agire discrezionale è sottratto al giudizio penale se viola "solo" i limiti interni della discrezionalità, determinandone un suo "cattivo uso". Riacquista, invece, rilevanza penale l'atto discrezionale che superi i limiti esterni della discrezionalità determinando di fatto una distorsione dell'azione amministrativa come garantita dall'articolo 97 della Costituzione.
La decisione n. 21643 del 2022
La Cassazione con la sentenza n. 21643/2022 affronta un caso di abuso d'ufficio alla luce della recente riforma del reato adottata nel 2020. La decisione fa constatare che se l'azione è contenuta entro i limiti esterni della discrezionalità attribuita al pubblico ufficiale, non scatta l'abuso d'ufficio per condotte antidoverose tenute in violazione di fonti regolamentari e comunque non di rango primario.
La norma riformata, infatti, parla di violazioni di "specifiche regole di condotta" espressamente "previste dalla legge o da atti aventi forza di legge" e dalle quali "non residuino margini di discrezionalità". Ferma la rilevanza penale dell'omessa astensione dal compiere un atto d'ufficio quando sussiste un interesse proprio del pubblico ufficiale o di un suo prossimo congiunto.
Nel caso specifico il ricorrente era stato accusato di aver concorso nel reato di abuso d'ufficio di un assessore che si era attivato per garantire un iter favorevole per una pratica edilizia di propri congiunti. L'imputato era accusato di aver portato nella competente commisione (di cui era un componente) l'istanza "sponsorizzata" dall'assessore, nonostante risultasse priva di completa documentazione.Nei fatti il reato era stato dichiarato prescritto, ma l'attuale ricorrente sosteneva che avrebbe avuto diritto a una piena assoluzione nel merito, soprattutto in virtù della nuova formulazione della fattispecie di reato. La Cassazione ha accolto il ricorso senza rinvio affermando che- in base ai capisaldi della nuova formulazione del reato di abuso d'ufficio - il ricorrente non ha commesso il fatto.