Comunitario e Internazionale

Abuso di posizione dominante dell'ex monopolio se adotta pratiche escludenti in fase di liberalizzazione

Le condotte di Enel sono sanzionabili se si sostanziano in pratiche escludenti anticoncorrenziali e non fondate sui meriti

di Paola Rossi

La Corte Ue ha fornito al Consiglio di Stato i criteri valutativi per giudicare la condotta di Enel, nella fase della liberalizzazione del mercato dell'energia in Italia, come sfruttamento abusivo della propria posizione dominante di ex monopolista legale o come concorrenza "normale" cioè fondata sui meriti. Il rinvio pregiudiziale deriva dalla lite intentata da Enel e dalle sue società figlie contro la sanzione pecuniaria comminata dall'Antitrust italiano.

Con la sentenza sulla causa C-377/20 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha definito il perimetro della prova che va raggiunta dall'Autorithy per affermare la sussistenza o meno di illegittime pratiche escludenti che - va sottolineato - possono derivare anche dallo sfruttamento di prerogative lecite di cui dispone chi riveste una posizione dominante su un dato mercato. La liceità della condotta non esclude però che intervenga il diritto della concorrenza al fine di riequilibrare le posizioni delle diverse imprese concorrenti.
La Corte precisa i criteri per qualificare come abusiva una posizione dominante in materia di pratiche escludenti, sulla base degli effetti anticoncorrenziali del comportamento di un operatore storico nel contesto della liberalizzazione del mercato elettrico

Il contesto italiano
La causa si inserisce nel contesto della progressiva liberalizzazione del mercato della vendita di energia elettrica in Italia: dal 1° luglio 2007, tutti gli utenti della rete elettrica italiana, comprese le famiglie e le piccole e medie imprese, potevano scegliere il fornitore. Anche se in un primo momento, è stata effettuata una distinzione tra clienti ammessi a scegliere un fornitore su un mercato libero e clienti del mercato tutelato (clienti domestici e Pmi) oggetto di un regime regolato. Un «servizio di maggior tutela», che comportava, in particolare, speciali tutele in materia di prezzi. Solo in un secondo momento questi ultimi sono stati ammessi al mercato libero.
Enel, fino ad allora monopolista nella produzione e fornitura dell'energia elettrica, nella fase di liberalizzazione del mercato, è stata sottoposta a una procedura di separazione delle attività di distribuzione e di vendita, nonché dei marchi (unbundling). Al termine di tale procedura, le varie fasi del processo di distribuzione sono state attribuite a società figlie distinte. Così, alla E Distribuzione è stato affidato il servizio di distribuzione, la Enel Energia è stata incaricata della fornitura di elettricità nel mercato libero e al Servizio Elettrico Nazionale (Sen) è stata attribuita la gestione del servizio di maggior tutela.

La sanzione dell'Agcm
Al termine di un'istruttoria condotta dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha adottato, il 20 dicembre 2018, una decisione con la quale ha constatato che il Sen e la Enel Energia, con il coordinamento della loro società madre Enel, avevano posto in essere, dal gennaio 2012 e fino al maggio 2017, un abuso di posizione dominante, in violazione del divieto recato dall'articolo 102 Tfue, ha inflitto loro, in solido, una sanzione pecuniaria pari a oltre 93 milioni di euro.
La condotta contestata è consistita nell'attuazione di una strategia escludente volta a trasferire la clientela del Sen, in quanto gestore storico del mercato tutelato, alla Enel Energia, la quale opera sul mercato libero, al fine di scongiurare il rischio di un passaggio in massa dei clienti del Sen verso nuovi fornitori al momento della successiva apertura del mercato in questione alla concorrenza.
A tale scopo, secondo la decisione dell'Agcm, i clienti del mercato tutelato sarebbero stati in particolare invitati dal Sen a prestare il loro consenso a ricevere offerte commerciali relative al mercato libero, con modalità discriminatorie per le offerte dei concorrenti del gruppo Enel.
L'importo della sanzione pecuniaria è stato ridotto alla somma di 27,5 milioni di euro in esecuzione delle decisioni giurisdizionali pronunciate in primo grado nell'ambito di ricorsi presentati dall'Enel e dalle sue due società figlie contro la decisione dell'Authority.

Lo sfruttamento illecito dell'ex monopolio
Una pratica che non può essere adottata da un ipotetico concorrente altrettanto efficiente sul mercato "liberalizzato" - perché basata sullo sfruttamento di risorse o mezzi derivanti da una posizione dominante - non integra una concorrenza lecita, cioè basata sui meriti. Per cui se un'impresa perde il monopolio legale che aveva su un mercato è tenuta ad astenersi, "durante tutta la fase di liberalizzazione" dallo sfruttamento dei mezzi derivanti dal precedente monopolio: in quanto si tratta di mezzi che non sono disponibili ai suoi concorrenti. Lo sfruttamento della posizione dominante è in conclusione abusivo se condotto con modalità che esulano dai meriti dell'impresa.

L'uso lecito dei mezzi legati al dominio
L'uso lecito, nella fase di liberalizzazione del mercato, dei mezzi derivanti dalla precedente posizione dominante può essere invece quello che è controbilanciato da latri fattori, come ad esempio un vantaggio di fatto per i consumatori.
Tutti fattori che il Consiglio di Stato dovrà verificare al fine di affermare il carattere anticoncorrenziale delle scelte strategiche adottae da Enel a fronte della liberalizzazione varata del mercato dell'energia elettrica.
Infine, sulle condizioni che consentono di imputare la responsabilità del comportamento di una società figlia alla società madre, la Corte dichiara che, quando una posizione dominante è sfruttata in modo abusivo da una o più società figlie appartenenti a un'unità economica, l'esistenza di tale unità è sufficiente per ritenere che la società madre sia anch'essa responsabile di tale abuso. L'esistenza di una simile unità deve essere presunta qualora, all'epoca dei fatti, almeno la quasi totalità del capitale di tali società figlie fosse detenuta, direttamente o indirettamente, dalla società madre. A fronte di simili circostanze, l'autorità garante della concorrenza non è tenuta a fornire alcuna prova aggiuntiva, a meno che la società madre non dimostri che, nonostante la detenzione di una tale percentuale del capitale sociale, essa non aveva il potere di definire i comportamenti delle società figlie, le quali agivano autonomamente.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©