Amministrativo

Affidamenti in house: il Consiglio di Stato rimette alla Corte di Giustizia UE le norme interne in tema di subentro nella gestione del servizio in caso di fusioni e acquisizioni

Commento a ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. IV 18 novembre 2020, n. 7161

di Fabio Andrea Bifulco

E' noto che la figura dell'affidamento in house – in sintesi estrema, l'aggiudicazione diretta di un servizio pubblico, da parte di una pubblica amministrazione, senza la previa celebrazione di procedura concorsuale – è stata scandita dal passaggio ad una genesi puramente giurisprudenziale, per arrivare ad una disciplina positiva sia europea che di diritto domestico.
Ogni fase, sia giurisprudenziale che normativa, è stata oggetto di costanti evoluzioni e modifiche.
Sotto il primo aspetto, ed in particolare per quanto riguarda la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (che per prima ha delineato l'istituto; cfr. la decisione 18 novembre 1999, causa C-107/98, relativa al "caso Teckal"), la posizione iniziale si caratterizzava per un particolare rigore nella individuazione dei relativi presupposti, ed in particolare per quanto concerne quello del "controllo analogo" sulla società in house da parte degli enti promoventi.
Tale "controllo analogo", al fine di scongiurare elusioni rispetto al generale principio di concorrenza (e dunque dell'obbligo di gara), veniva inteso come rigorosa necessità di una partecipazione pubblica totalitaria da parte dell'ente promovente (cfr. le sentenze 11 gennaio 2005, C-26/03, "caso Stadt Halle"; 13 ottobre 2005, C-458/03, "caso Parking Brixen", e 6 aprile 2006, C-410/04, "caso ANAV").
In questa prospettiva, la presenza, anche se minoritaria, di capitali privati, avrebbe compromesso il principio di concorrenza in una duplice prospettiva: in quanto le scelte dell'affidatario sarebbero state condizionate da fini commerciali di lucro, ed in quanto i privati partecipanti al capitale del medesimo affidatario avrebbe potuto godere di vantaggi rispetto ai suoi concorrenti nel mercato.
A corollario, il requisito della partecipazione pubblica totalitaria – come anche quello dell'attività prevalente – doveva "sussistere permanentemente", cioè per l'intera durata dell'affidamento in house.

Negli anni, il rigore iniziale si è però affievolito, ammettendosi dapprima una forma di controllo analogo "congiunto", ossia condiviso con altri enti (sentenza 13 novembre 2008, C-324/07, "Coditel Brabant SA").
A livello, invece, di diritto positivo, le possibilità operative sono state ulteriormente ampliate in sede di codificazione, quale effettuata in tutte e tre le Direttive Europee in tema "appalti/concessioni" (2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE).
In particolare la norma europea, oltre a riconoscere il controllo analogo "congiunto", ha sia consentito il controllo cd "a cascata" (ossia quello esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione aggiudicatrice).
E, per quanto maggiormente rileva in questa sede, ha anche consentito l'accesso ai capitali privati, a condizione che questi non prevedano un controllo o un potere di veto, e che non esercitino una influenza dominante sul soggetto in house.
La normativa interna di attuazione (il d.lgs. 50/2016, recante codice dei contratti pubblici, come modificato dal "correttivo" del 2017) ha pedissequamente ripetuto le norme europee.

In questo contesto, una peculiare problematica si pone in relazione alle disposizioni di cui all'art. 3 bis, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, in tema ambiti territoriali e criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali, in rapporto a quelle di cui all'art. 1, commi 611 e 612, l. 23 dicembre 2014, n. 190, relative alle aggregazioni delle società di servizi pubblico locali di rilevanza economica-
Per tale effetto di tali norme, le imprese a partecipazione pubblica affidatarie di servizi pubblici, come tali adatte a concludere operazioni aggregative con analoghe imprese, laddove succedano a titolo universale o parziale al concessionario inziale, per effetto di operazione societarie (ad esempio fusioni o acquisizioni), subentrano di diritto nella gestione del servizio fino alla scadenza prevista.
Quid, però, nel caso in cui:
- uno degli enti pubblici un tempo esercitanti il controllo analogo "congiunto" non faccia più parte del capitale sociale del concessionario inziale;
-e la impresa pubblica conferitaria veda anche la presenza di soci privati?

Questa è la fattispecie oggetto dell'ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. IV 18 novembre 2020, n. 7161, emessa con riferimento a controversia in cui il Comune non più in rapporto di controllo analogo rispetto all'originario affidatario in house, aveva negato la ultrattività di tale affidamento in capo alla impresa pubblica subentrante.
In particolare, con la decisione in commento, il Consiglio di Stato ha chiesto alla Corte di Giustizia di valutare se l'art. 12 della direttiva 2014/24/UE osti ad una normativa nazionale la quale imponga un'aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a seguito della quale l'operatore economico succeduto al concessionario iniziale, per via di operazioni societarie, prosegua nella gestione dei servizi, nel caso in cui:

(a) il concessionario iniziale sia una società affidataria in house sulla base di un controllo analogo pluripartecipato;
(b) l'operatore economico successore sia stato selezionato attraverso una pubblica gara;
(c) a seguito dell'operazione societaria di aggregazione, i requisiti del controllo analogo pluripartecipato non sussistano più rispetto a taluno degli enti locali che hanno in origine affidato il servizio di cui si tratta.

Il Giudice interno suggerisce alla Corte la compatibilità della normativa nazionale sulla base delle seguenti motivazioni:

- scopo ultimo delle norme del diritto europeo è quello di promuovere la concorrenza, e tale scopo viene soddisfatto, in termini sostanziali, quando più operatori competono, o possono competere, per assicurarsi il relativo mercato nel periodo di riferimento, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dello strumento con il quale ciò avviene;
-detto scopo sarebbe stato assicurato nel caso di specie dal fatto che l'operazione societaria (attribuzione del pacchetto azionario di maggioranza della originaria società in house) è avvenuta a seguito di una gara tesa ad individuare il soggetto con cui aggregarsi.
Trattasi di prospettiva sostanzialista che, però, sembra scontrarsi con le diversità di fondo degli istituti.
Difatti, l'impostazione normativa sembra operare una ferma distinzione:
- tra l'acquisizione di servizi (o beni) tramite affidamento esterno a terzi, concorsuale, che quindi soggiace alle rigorose norme che disciplinano le pubbliche gare, le quali a loro volta hanno ad oggetto le specifiche condizioni esecutive del contratto;
-e quella che avviene, invece, sotto forma di autoproduzione, ricorrendo a soggetti parificabili agli stessi uffici o organi interni della amministrazione (appunto, il cd in house providing), e che quindi sfuggono per definizione all'obbligo della procedura d'appalto nei predetti termini.

Sicché, in definitiva, la ricostruzione in commento finisce per giustificare la scelta (o meglio, la prosecuzione) del modello di autoproduzione in house sulla base di elementi che pertengono all'affidamento esterno, tramite appalto.
Ciò laddove, però, il distinguo tra le due fattispecie (gara per la scelta di un bene o servizio da un lato, e gara per la scelta di un socio) è da tempo riconosciuto dal consolidato orientamento giurisprudenziale che, in tema di società miste, consente l'affidamento diretto del servizio solo in presenza di gara a cd. "doppio oggetto" (cioè sia per la scelta di un socio privato, che per l'affidamento del servizio).

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