Agenti di commercio, niente Irap se il lavoro del familiare è “esecutivo”
Un primo consolidato orientamento della Cassazione per definire l’autonoma organizzazione dei lavoratori autonomi ai fini dell’assoggettamento dei redditi all’Irap, ben rappresentato dalla sentenza 3676/2007, affermava che la presenza anche di un solo dipendente, anche se part-time o addetto a mansioni generiche, determinava di per sé l’assoggettamento all’imposta.
La Cassazione supplì in tal modo in via interpretativa alla lacuna dell’articolo 2 Dlgs 446/1997, che indica quale presupposto impositivo la presenza di un’organizzazione autonoma senza fissare alcun limite quantitativo, considerando da tassare esclusivamente il reddito in presenza di un’organizzazione che consenta al professionista/lavoratore autonomo di essere in una condizione migliore rispetto a quella nella quale si sarebbe trovato senza di essa. Con la sentenza 9451 del 10 maggio scorso, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha evoluto la propria interpretazione stabilendo che «nell’attuale realtà è quasi impossibile esercitare l’attività senza ausilio di uno studio e/o di uno o più collaboratori o dipendenti» e occorre distinguere se l’avvalersi «in modo non occasionale di lavoro altrui, comporti in concreto l’espletamento di lavoro di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive, che rechino all’attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o generico» oppure se il contributo abbia le stesse caratteristiche del lavoro svolto dal responsabile dell’organizzazione.
Il giudice di merito nell’analizzare il caso specifico, in base alla propria insindacabile valutazione, dovrà, quindi, verificare la presenza del requisito dell’autonoma organizzazione in base a due criteri:
il responsabile dell’organizzazione, in qualsiasi forma, non deve essere inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
siano impiegati beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.
Alla luce della nuova interpretazione, è quindi possibile comprendere la motivazione per la quale le due successive ordinanze della Suprema corte (12626 del 17 giugno e 17429 del 30 agosto) riguardanti la richiesta di rimborso Irap da parte di due agenti di commercio che svolgevano la propria attività sotto forma di impresa familiare, ex articolo 230-bis del Codice civile, hanno visto l’accoglimento del ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate con rinvio al giudice di merito: la mancanza di un’approfondita analisi dell’apporto del collaboratore familiare rispetto all’autonoma organizzazione dell’agenzia. Spesso il collaboratore familiare contribuisce all’attività di agenzia gestendo l’amministrazione dell’impresa; la partecipazione attiva all’attività commerciale è, invece, rara (occorre possedere il requisito professionale). L’agente che si avvale della collaborazione dei propri familiari nell’attività deve, di conseguenza, valutare sia in presenza di istanze di rimborso Irap, sia di contenzioso nei confronti dell’Agenzia o più semplicemente in sede di redazione della dichiarazione dei redditi, il compito da loro svolto e le prove a supporto della loro effettiva attività. Se l’apporto è solo esecutivo, l’agente ha una ragionevole certezza di essere esentato dall’Irap.
Corte di cassazione, sentenza 10 maggio 2016, n. 9451
Corte di cassazione, ordinanza 30 agosto 2016, n. 17429