Ai fini della prova dell'usucapione la coltivazione del fondo non è sufficiente
Tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, deve essere accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominu
Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione - il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva - la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus. Questo il principio della Cassazione espresso con l'ordinanza 9 luglio 2021 n. 19580. In particolare, sempre secondo la Suprema corte, l'accertamento del corpus possessionis è accertamento di fatto, che il giudice di merito deve operare caso per caso, esaminando l'intero reticolo dei poteri concretamente esercitati su un bene.
Deriva da quanto precede, pertanto, che nel relativo apprezzamento non ci si può limitare a considerare l'attività di chi si pretende possedere (nella specie, la coltivazione del fondo) ma è necessario considerare anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento del proprietario. Correttamente, hanno osservato i giudici di legittimità, il giudice a quo ha preso in considerazione i poteri di controllo e ingerenza concretamente esercitati dal proprietario e, sulla base di tale considerazione, è pervenuto al giudizio di fatto che nella specie l'attività svolta sul fondo non manifestava, in capo a chi la esercitava, un potere di fatto corrispondente all'esercizio del diritto dominicale.
Si tratta di una questione variamente risolta dalla giurisprudenza di legittimità, nel tempo.
Nello stesso senso, infatti, la Cassazione, ordinanza 5 marzo 2020 n. 6123, si è espressa sostenendo che ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione – il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva – la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché non esprime in modo inequivocabile l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus. Costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, l'intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l'attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario .
Nel 2021, con l' ordinanza n. 19568, viene stabilito che il possesso ad usucapionem deve esteriorizzarsi in un comportamento continuo e non interrotto, che dimostri inequivocabilmente la intenzione di esercitare il potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno ius in re aliena e, quindi, una signoria sulla cosa che permanga per tutto il tempo indispensabile per usucapire, senza interruzione, sia per quanto riguarda l'animus che il corpus, e che non sia dovuta a mera tolleranza. In particolare, ai finì della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione, la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché non esprime in modo inequivocabile l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus. Costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, l'intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l'attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario.
Analogamente (Cassazione, sentenza 29 luglio 2013, n. 18215) si afferma che ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione - il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva - la coltivazione del fondo non è sufficiente, in quanto, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus,
In termini generali - si veda Cassazione, ordinanza 3 luglio 2018 n. 17376 - ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione - il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva - la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus, ove la precisazione, altresì, che l'interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso.
In senso contrario invece, la sentenza 10 luglio 2007 n. 15446, scrive che per provare l'intervenuta usucapione, la coltivazione di un terreno, in modo pubblico, pacifico, continuo e ininterrotto per i venti anni richiesti dall'art. 1158 Cc ben può configurare lo jus possessionis mentre la sussistenza dell'animus possidendi è desumibile in via presuntiva ed implicita dall'esercizio dell'attività materiale corrispondente al diritto di proprietà. Sempre in un'ottica opposta a quella della pronunzia in rassegna, Cassazione sentenza 30 marzo 2006 n. 7500, ai fini della prova del possesso di un fondo, utile per usucapione, la sua coltivazione è di per sé manifestazione di una attività corrispondente all'esercizio della proprietà; per cui, presumendosi ai sensi dell'art. 1141 Cc il possesso in colui che esercita il potere di fatto sulla cosa, spetta a chi contesta tale possesso provare che il terreno è coltivato in base ad un titolo diverso dal diritto di proprietà.
Per altri riferimenti: ai fini dell'acquisto della proprietà per usucapione, il possessore deve esplicare con pienezza, esclusività e continuità il potere di fatto corrispondente all'esercizio del relativo diritto , manifestando- con il puntuale compimento di atti conformi alla qualità e alla destinazione della cosa secondo la sua specifica natura - un comportamento rivelatore anche all'esterno di una indiscussa e piena signoria di fatto su di essa, contrapposta all'inerzia del titolare, pertanto, la verifica in ordine all'idoneità del possesso a determinare il compiersi dell'usucapione deve essere effettuata dal giudice non in astratto ma con riferimento alla specifica destinazione economica e alle utilità che, secondo un criterio di normalità, il bene è capace di procurare ( Cassazione, sentenza 29 novembre 2005 n. 25922, nella specie si parlava di coltivazione di un terreno boschivo, sottoposto al periodico taglio delle piante da effettuare ad intervalli di 35-40 anni ,è stato escluso che un solo taglio delle piante compiuto dall'attore oltre trent'anni prima della domanda di usucapione fosse elemento sufficiente per integrare il possesso utile ad usucapionem,non essendo al riguardo irrilevante l'inerzia nella coltivazione dei terreni dimostrata dall'attore successivamente al taglio).