Amministrativo

Alla Consulta il requisito «discriminatorio» per la selezione degli insegnanti nelle scuole statali estere

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di Andrea Alberto Moramarco

La Corte costituzionale dovrà decidere se è legittima o meno la previsione del requisito del possesso della residenza da almeno un anno nel paese ospitante, inserita nei bandi di concorso per la selezione dei docenti di scuole italiane all'estero. A richiedere l'intervento della Consulta è il Tar Lazio che, con la sentenza n. 11419/2019, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 31, comma 2, del Dlgs 64/2017.

La questione - Il giudizio da cui trae origine la controversia riguarda il reclutamento dei docenti "locali" delle scuole italiane all'estero (nella specie Madrid, Barcellona, Parigi, Atene, Istanbul e Addis Abeba) cui conferire l'incarico di alcuni insegnamenti obbligatori previsti nell'ordinamento italiano, i quali, in base all'articolo 31, comma 2, del Dlgs 64/2017, possono essere affidati solo «a personale italiano o straniero, residente nel paese ospitante da almeno un anno». Su ricorso della Uil Scuola Nazionale e di alcuni professori privi del requisito della residenza, il Tar è stato così chiamato a decidere sulla presunta illegittimità, per violazione del principio del pubblico concorso e per disparità di trattamento, del requisito della residenza di almeno un anno, previsto a monte dalla disposizione legislativa, nonché dal decreto 3615/2501/2018 del ministero degli Affari esteri e dai singoli bandi di concorso che ne davano attuazione. Per i giudici amministrativi, la censura è rilevante e non manifestamente infondata e, data l'impossibilità di procedere a una interpretazione adeguatrice della norma, è necessario interpellare la Corte costituzionale.

Il concorso pubblico - In primo luogo, i giudici romani si sono soffermati sulla portata del concorso pubblico, «che consente di attuare il principio di uguaglianza nell'accesso ai pubblici uffici di cui all'art. 51 Cost», e «costituisce forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost». Questa regola può essere derogata solo in presenza di «peculiari situazioni» e purché le selezioni non abbiano «arbitrarie e irragionevoli forme di restrizione», ovvero quando ricorrano «straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle». Nel caso di specie secondo il Tar la scelta di imporre il requisito della residenza «non appare assistita da ragioni giustificatrici» e finisce per «ridurre in modo arbitrario ed irragionevole la platea dei possibili candidati». D'altra parte, ritengono i giudici, il requisito della residenza sarebbe logico per gli insegnamenti obbligatori secondo la normativa locale, per i quali può rilevare la conoscenza dell'ambiente locale o eventuali esigenze ambientali, ma non può fungere da criterio selettivo per l'insegnamento delle materia obbligatorie secondo il nostro ordinamento.

La disparità di trattamento - Secondo il Tar la previsione del requisito della residenza di almeno un anno nel paese ospitante viola anche l'articolo 3 della Costituzione in quanto determina una disparità di trattamento tra candidati. Il requisito, infatti, sottolinea il Collegio, favorisce i docenti stranieri e quelli che hanno la cittadinanza nel paese ove è ubicata la singola scuola, i quali «hanno maggiori possibilità di soddisfare il requisito della residenza almeno annuale, rispetto ai docenti italiani che generalmente non vivono all'estero». In altri termini, il requisito della residenza «finisce per indirizzare le selezioni a vantaggio di coloro che, per ragioni legate alla propria nascita e/o alle proprie origini nel territorio straniero, possono vantare un legame più forte con quel territorio», a discapito dei candidati che hanno cittadinanza italiana.

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