Immobili

Amministratore infedele, la società deve restituire le somme ricevute dal condominio «sbagliato»

Per la Cassazione la confusione tra i conti correnti non può avvantaggiare chi riceve denaro senza giusta causa

ADOBESTOCK

di Cristina Langher

La legge impone all’amministratore di condominio di istituire un apposito conto corrente condominiale per la gestione del denaro versato dai condomini, come presupposto essenziale per una conduzione trasparente a cui si è ispirata tutta la riforma del condominio.

Ma c’è di più: anche il creditore del condominio che riceva il pagamento da parte dell’amministratore, anche se già suo cliente per altre realtà condominiali, deve conoscere questo divieto previsto dalla legge e dunque accertarsi che il suo credito venga saldato con finanze provenienti dall’effettivo debitore. Altrimenti rischia di dovere poi restituire al condominio che non sia il suo vero debitore quanto versatogli dall’infedele amministratore, configurandosi in tal caso un indebito oggettivo in base all’articolo 2033 del Codice civile.

Con l’ordinanza 24976 del 9 novembre 2020, la Cassazione ha infatti chiarito che l’indebito oggettivo si configura nelle ipotesi in cui venga effettuato un pagamento nonostante l’assenza di debiti tra chi versa e chi riceve, differenziandosi in tal senso dall’indebito soggettivo, previsto dall’articolo 2036 del Codice civile, in cui il pagamento viene effettuato da un soggetto che, credendosi erroneamente debitore, paghi al creditore in buona fede.

Era successo che un confusionario amministratore aveva saldato il debito che un condominio da lui gestito aveva nei confronti di un fornitore (di gasolio) con assegni bancari tratti sul conto corrente di un altro condominio sempre da lui amministrato. Il creditore, pur indirettamente sapendo della reale provenienza della provvista, non si era fatto alcun scrupolo a incassare gli assegni, senza assumere alcuna preventiva indagine sulla bontà del pagamento: ciò sull’errato presupposto di non essere tenuto a farlo.

Promosso il giudizio da parte del condominio danneggiato verso il fornitore per ottenere la restituzione di quanto versatogli senza alcun titolo, il giudice di primo grado ha respinto la domanda. Ma la decisione è stata totalmente disattesa in appello, dove invece l’impresa è stata condannata alla restituzione di tutto quanto ingiustamente percepito.

La questione, su iniziativa della società soccombente, è finita davanti alla Cassazione, che ha confermato la sentenza di secondo grado e quindi l’obbligo di restituire le somme. La circostanza che i pagamenti siano andati a estinguere crediti effettivamente sussistenti tra il terzo creditore e altri condomìnii gestiti dallo stesso amministratore non vale infatti a “giustificare” il pagamento effettuato con il denaro di un soggetto mai gravato da alcun obbligo nei confronti del creditore.

Deve valere allora il principio per cui la confusione contabile generata dall’infedele amministratore non può avvantaggiare i terzi per il solo fatto che questi vantino pretese nei confronti di altri condomìnii amministrati dal medesimo soggetto: chiunque riceva una provvista proveniente da un condominio non suo debitore, al pari di quanto accade nell’ipotesi di pagamento da parte di un soggetto terzo ed estraneo, ha il dovere di comportarsi con attenzione e diligenza, di verificare cioè la provenienza delle somme e accertare l’esistenza di un effettivo debito in capo al soggetto da cui provengono le risorse finanziarie.

È scontata l’esistenza in questi casi dei presupposti per la revoca (anche giudiziaria) dell’amministratore, ma anche la superficialità del creditore viene punita.

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