Penale

Anche negli sport da impatto l'avversario va rispettato evitando gesti pericolosi

Nella valutazione della colpa sportiva assume centralità l'analisi della situazione di fatto in rapporto allo sviluppo dinamico dell'azione lesiva

di Pietro Alessio Palumbo

La vicenda sottoposta all'esame della Corte di Cassazione (sentenza n.21452/2023) attiene ad una partita di rugby femminile. A seguito di un duro impatto con un gomito dell'avversaria un'atleta si era procurata gravi lesioni oltre all'indebolimento permanente della vista. Dalla ricostruzione dei fatti, nella fase successiva ad un placcaggio, entrambe le giocatrici erano cadute a terra; l'imputata, che si trovava sopra, aveva alzato il braccio destro colpendo il volto l'avversaria causandole danni che necessitavano di un complesso intervento chirurgico.

L'esame delle modalità della condot ta
Secondo la Suprema Corte nell'accertamento della sussistenza della colpa dell'atleta non ha rilievo l'entità del danno procurato, poiché oggetto della valutazione non sono le conseguenze dannose in quanto tali, bensì le specifiche ed obiettive modalità della condotta dell'atleta, avuto riguardo alle caratteristiche dell'azione nell'ambito del contesto agonistico di riferimento, e della natura stessa della competizione sportiva in questione. Pertanto, nella valutazione della colpa sportiva assume centralità l'analisi della situazione di fatto in rapporto allo sviluppo dinamico dell'azione lesiva. È evidente, infatti, che per ciascun contesto, i singoli atleti faranno affidamento su atti degli avversari aventi caratteristiche ed intensità diverse - maggiore per i professionisti rispetto ai dilettanti, minore per gli allenamenti rispetto alle gare - cui potrà conseguire l'operatività di una diversa regola pertinente alla situazione sportiva acclarata.
Al di là della specifica attività agonistica – nella vicenda il rugby professionistico, sport molto "fisico" e da impatto - resta fondamentale la regola generale che impone agli atleti di improntare il proprio comportamento ai doveri di lealtà e correttezza sportiva, nonché di rispetto dell'avversario, che vanno coordinati con i principi della colpevolezza.

Il rischio consentito
Il "rischio consentito" è quello accettato dall'atleta in relazione al rispetto delle regole tecniche per la pratica sportiva di riferimento, per cui la violazione esorbitante di tali regole riconduce la condotta antisportiva nell'area del penalmente rilevante, derivandone una lesione non previamente accettata dall'atleta. Tuttavia ciò non risolve il problema di delineare i criteri giuridici da seguire per affermare se un fatto lesivo commesso nel corso di un'attività sportiva sia concretamente una condotta tipica penalmente e civilmente rilevante.

La responsabilità dell'atleta
Nell'analisi dell'eventuale responsabilità dell'atleta per fatti dannosi commessi durante l'attività sportiva deve infatti essere abbandonato l'orizzonte del cd. "rischio consentito" e dell'agente modello, foriero di eccessive incertezze nell'applicazione giudiziale, per approdare ai criteri di accertamento della responsabilità penale nei reati caratterizzati dall'evento: verifica oggettiva del fatto dannoso e configurabilità della colpevolezza dell'agente sotto il profilo della sussistenza del dolo o della colpa.
A ben vedere l'attività sportiva - così come altre attività umane potenzialmente pericolose ma consentite per ragioni di utilità sociale - non si sottrae all'indagine di responsabilità colposa o dolosa in caso di eventi lesivi della vita o dell'integrità fisica delle persone, accaduti nel corso o in occasione del suo esercizio.
In tale prospettiva, non serve ragionare in termini di scriminante, atteso che l'attività sportiva costituisce di per sé un'attività lecita, rispetto alla quale i partecipanti tollerano di correre determinati rischi; sempre che la loro integrità fisica non sia da altri deliberatamente lesa o danneggiata colposamente a seguito della violazione di predeterminate regole cautelari. Per la colpa generica in particolare - ma anche per la colpa specifica, in caso di regole cautelari c.d. elastiche, in cui cioè la regola non è dettagliata ma è
determinata in base a circostanze contingenti - si tratta di applicare i consueti principi che caratterizzano la valutazione della colpevolezza colposa. Su queste coordinate, in sede di accertamento della colpa, il giudice deve indicare la regola cautelare violata preesistente al fatto, e quindi specificare quale sia - sulla base della diligenza, prudenza e perizia - in concreto ed "ex ante" il comportamento doveroso prescritto.
La verifica della colpa sportiva non potrà, insomma, prescindere dagli ordinari criteri circa l'elemento psicologico del reato; in particolare riscontrando l'eventuale violazione della regola cautelare, generica o specifica, non corrispondente alla regola tecnico-sportiva applicabile. Ne discende che sono illeciti quei comportamenti che non sono riconducibili al gioco pur nelle sue espressioni più pericolose, o perché intenzionalmente diretti a procurare danno alla persona, oppure perché, in quanto in contrasto con il principio di lealtà sportiva sono estranei all'ambito di applicazione delle regole del gioco che quel principio presuppongono; e pertanto disciplinati dalle ordinarie regole della diligenza di cui costituiscono una violazione.

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