Penale

Appello stampato, scannerizzato e firmato digitalmente: ammissibile

Si apre il contrasto sulle conseguenze del mancato rispetto dei passaggi digitali dell'impugnazione

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di Carmelo Minnella

Nell’attuale e delicata fase della transizione digitale, la sentenza n. 5744 della Terza sezione di legittimità si segnala perché, ponendosi in contrasto con la sua precedente giurisprudenza (in particolare con Sezione 4, n. 32197/2022), ritiene che debba considerarsi nativo digitale l’atto di appello creato mediante un programma di videoscrittura, stampato e trasformato in documento cartaceo, successivamente scannerizzato e ritrasformato in digitale, con formato immagine alla quale viene apposta corretta firma digitale. Pertanto nessuna inammissibilità colpisce l’impugnazione, anche se non vengono rispettati tutti i passaggi ‘informatici’ dettati dalla normativa regolamentare.

In sostanza, per la Suprema Corte, rompe lo stretto collegamento tra la sanzione dell’inammissibilità stabilita dall’articolo 24, comma 6-sexies, del DL n. 137/2020 e la procedura di corretta stesura dell’atto digitale sul quale poi viene apposta la firma digitale: atto nativo digitale, trasformazione in pdf e firma elettronica. Nel caso di specie, per gli ermellini vi era stato un passaggio in più – quello della stampa del file nativo e la scannerizzazione del documento stampato – rispetto a quanto previsto dall’art. 3, comma 1 del decreto del DGSIA del 9 novembre 2020. Il problema è che questo passaggio in più fa sì che la firma digitale è stato apposta su una copia per immagine.

Proprio ponendosi in tale ultima diversa prospettiva, il Tribunale della libertà di Bologna che, nel rigettare una richiesta di sequestro preventivo, dichiarava inammissibile l’appello interposto perché prodotto tramite scansione per immagine, in violazione della normativa emergenziale contenuta nell’art. 24, commi 6-ter e 6-sexies del DL n. 137/2020.

Ricorre in cassazione la società proprietaria degli autospurgo sequestrati, ritenendo che pur trattandosi di una scansione di immagine, non è rimasto privo di certezze sul sottoscrittore, essendosi stata apposta la firma digitale la quale avrebbe trasformato il documento in un nuovo originale. Senza considerare che l’articolo 24, comma 6-sexies del DL citato sancisce l’inammissibilità solo nell’ipotesi in cui manca la sottoscrizione digitale, insussistente nel caso in esame.

La Suprema Corte accoglie le doglianze difensive e annulla l’ordinanza in parte qua con riguardo alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello, con rinvio al Tribunale di Bologna per l’esame nel merito del gravame.

Punto di partenza dell’ordito motivazionale è rappresentato dalla pregressa giurisprudenza di legittimità dell’inammissibilità dell’impugnazione, sancita dalla disciplina emergenziale per il contrasto della pandemia da Covid-19 – più precisamente dall’articolo 24, comma 6-sexies, DL n. 137/2020, in caso di mancanza di sottoscrizione digitale del difensore.

In questi casi la paternità dell’atto, infatti, non è dimostrata dall’’invio dalla casella PEC dell’avvocato. La ragione tecnica dell’obbligo di apporre la firma digitale non è superata da altri elementi che possono affermare la paternità dell’atto come proveniente dal difensore (Sezione 2, nn. 2874/2022 e 22191/2022).

L’inammissibilità, invero, è un presidio della necessaria funzionalizzazione “tecnica” dell’atto ad un procedimento interamente telematico. Detto procedimento è rivolto al perfezionamento, non già riduttivamente, di un mero invio alla cancelleria dell’atto stesso sotto forma di allegato, ma dell’invio di un atto che di per sé deve possedere non irragionevoli caratteristiche, tra cui la firma digitale, affinché posso ritenersene compiuto il deposito, realizzato esso pure con modalità telematica, ossia dematerializzata, da parte di sistemi comunicativi non relazionali, in luogo della tradizionale modalità reale, ossia materiale, da parte di persone contestualmente presenti ed interagenti in luogo fisico.

Ciò posto, per la sentenza in commento, il citato articolo 24, comma 6-sexies non risulta violato perché trattasi del diverso caso in cui l’atto di impugnazione è effettivamente sottoscritto con firma digitale e non si rinviene la sanzione della prescrizione del decreto del direttore generale dei sistemi informativi ed automatizzati che prevede che il documento sia nativo digitale, ovvero non debba passare attraverso il passaggio intermedio della scansione per immagine.

Qui si innesta il contrasto con la precedente giurisprudenza dove si era sancita l’inammissibilità dell’impugnazione laddove l’atto presentava, oltre all’apposizione della firma digitale, la sottoscrizione autografa del legale (Cass. pen., Sez. 4, n. 32197/2022). Si violerebbe, in questo caso l’art. 3 comma 1 del provvedimento del DGSIA, al quale il comma 6-bis del DL n. 137/2020 rinvia.

Leggesi, invero, all’articolo 3, comma 1, del provvedimento del Direttore generale emesso in data 9 novembre 2020 che «l’atto del procedimento in forma di documento informatico – categoria nella quale evidentemente è sussumibile “l’atto” d’impugnazione “in forma di documento informatico” di cui ragiona il comma 6-bis dell’articolo 24 citato – da depositare attraverso il servizio di PEC presso gli uffici giudiziari indicati nell’articolo 2, rispetta i seguenti requisiti: è in formato PDF; è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini; è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata» (sul punto, si veda Guida al diritto, n. 2, p. 88, Impugnazioni atti per via telematica, spartiacque la data di presentazione).

Per la Suprema Corte, la circostanza che debba trattarsi di un atto generato attraverso una trasformazione di un documento testuale rende ragione della conseguente inammissibilità propriamente ‘tecnica’ («non è pertanto ammessa …») della pura e semplice scansione di immagini: «infatti, nel caso della scansione di immagini, che corrisponde alla descrizione delle operazioni compiute dal difensore, il file che ne risulta non contiene il ‘testo’ del documento, ma solo una sua ‘riproduzione’ (o meglio ‘rappresentazione’) grafica, quand’anche, eventualmente, incorporata in un file con estensione ‘.pdf’» (ancora Sez. 4, n. 32917 del 2022). In questi casi, l’originale è sempre rimasto nelle mani di chi lo ha trasmesso, senza mai uscire giuridicamente dalla sua sfera di dominio.

Vedremo quale dei due orientamenti di legittimità tenderà a cristallizzarsi o se, invece, nel perpetuarsi del contrasto, la questione verrà rimessa alle Sezioni Unite.

Anche perché la norma sull’inammissibilità telematica (qualora l’atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore) dell’esperienza pandemica, nell’ottica di implementazione del processo penale telematico spostato dalla riforma Cartabia (entrata in vigore il 30 dicembre scorso), è stata riproposta, per garantire la transizione digitale, tra le disposizioni transitorie, nell’art. 87-bis, comma 7, del Dlgs n. 150/2022, aggiunto dalla legge n. 199/2022.

La decisione in commento conferma le difficoltà ad entrare appieno nel processo penale telematico, trovando una soluzione non condivisibile perché in contrasto con l’alfabetizzazione digitale dell’atto informatico, ponendosi al di fuori del relativo sistema tracciato dalla normativa regolamentare.

Nella prospettiva dell’odierna sentenza, infatti, l’atto finale è digitale in quanto questo è stato digitalizzato irreversibilmente, giacché non più modificabile. E su questo file intangibile si è apposta corretta firma digitale. Invece, la norma che colpisce l’inammissibilità dell’atto detta un rinvio recettizio alla disciplina regolamentare e quindi il mancato rispetto degli anelli della catena informatica colpisce con la massima sanzione processuale il gravame proposto, anche se con apposta firma digitale.

Si consiglia, pertanto, prudenzialmente, di non prendere per oro colato questa ultima giurisprudenza ‘permissiva’, prima di trovarsi spalancate le porte dell’inammissibilità e di seguire pedissequamente i passaggi attualmente indicati dall’articolo 3, comma 1, del decreto del DGSIA.

 

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