Famiglia

Assegno divorzile: la Cassazione ritorna sul concetto di indipendenza economica

Con due ordinanze della Prima Sezione del 9 agosto scorso i giudici fanno il punto sulla quantificazione

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di Valeria Cianciolo

L’articolo 5, 6° comma, della legge n. 898 dell’1° dicembre 1970, riformulato nel 1987 con la legge n. 74, attribuisce al giudice il potere di effettuare, al momento del divorzio, una ridistribuzione della ricchezza fra i coniugi a favore di quello più debole ed in forma di contribuzione periodica al suo mantenimento, a condizione che il beneficiario non abbia mezzi adeguati o comunque, non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive. La determinazione dell’assegno deve avvenire considerando le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno o di quello comune, il reddito di entrambi e, valutati tutti gli elementi elencati, anche in rapporto alla durata del matrimonio. Nonostante la chiarezza del dato normativo anche dopo la nota sentenza 18287 delle sezioni Unite del luglio 2018, i criteri finalizzati all’accertamento della sussistenza del diritto all’assegno divorzile e alla sua quantificazione continuano ad impegnare la giurisprudenza di legittimità, e le due ordinanze rese dalla I Sezione della Cassazione il 9 agosto 2021 n. 22499 e n. 22537, ne sono una chiara dimostrazione.

 

La Cassazione n. 22499 e i corsi di aggiornamento della ex moglie insegnante

Nel primo caso, la Corte d’appello di Genova, confermava la sentenza che aveva riconosciuto alla moglie un assegno divorzile di € 500,00 mensili, a carico del marito, con il quale era stata coniugata per circa vent’anni, oltre al contributo di mantenimento della figlia allora minorenne e al rimborso della metà delle spese straordinarie per quest’ultima.

La Corte genovese è consapevole della indipendenza economica della donna la quale ha sempre svolto l’attività di insegnante, è assegnataria della casa coniugale ed ha la nuda proprietà di un altro immobile; ma le ha riconosciuto ugualmente l’assegno, in ragione degli «obblighi di aggiornamento e di decoro che la sua professione di insegnante […] le impone», degli «oneri economici» connessi all’accompagnamento della figlia con lei convivente alle gare di golf e dei maggiori redditi del marito, medico ospedaliero e proprietario dell’immobile, dove vive, acquistato grazie a una donazione materna.

Il Palazzaccio ha dunque, cassato la sentenza perché la Corte genovese ha inteso il concetto di indipendenza economica sulla base di parametri che non tengono conto del nuovo orientamento della giurisprudenza di legittimità, addirittura, richiamando, a giustificazione dell’assegno divorzile alla moglie, dei supposti ed evanescenti «obblighi di aggiornamento e di decoro che la sua professione di insegnante […] le impone».

 

La Cassazione n. 22537 e l’autosufficienza economica del marito

Nel secondo caso, posto all’attenzione dell’ordinanza n. 22537, la Corte territoriale ha giustificato l’incremento dell’assegno divorzile per la necessità di garantire al marito (strano ma vero, eppure talvolta, capita!) l’autosufficienza economica, in linea con la funzione preminentemente assistenziale dell’istituto (cfr. Cassazione n. 11504 del 2017), in considerazione delle gravi condizioni di salute che lo costringevano a sostenere rilevanti spese sanitarie e di assistenza personale, a fronte delle ottime condizioni economiche della moglie, ritenuta «estremamente benestante».

 

La valorizzazione del principio espresso dalla Suprema corte nella Cassazione n. 3015 del 2017

In entrambi i provvedimenti, la Cassazione richiama il principio espresso Cassazione n. 3015 del 2017: «a giustificare l’attribuzione dell’assegno non è, quindi, di per sé, lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all’epoca del divorzio, né il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente l’assegno rispetto alla situazione (o al tenore) di vita matrimoniale, ma la mancanza della “indipendenza o autosufficienza economica” di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa. Quest’ultimo parametro va apprezzato con la necessaria elasticità e l’opportuna considerazione dei bisogni del richiedente l’assegno, considerato come persona singola e non come ex coniuge, ma pur sempre inserita nel contesto sociale. Per determinare la soglia dell’indipendenza economica occorrerà avere riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza né eccedente il livello della normalità, quale, nei casi singoli, da questa coscienza configurata e di cui il giudice deve farsi interprete, ad essa rapportando, senza fughe, le proprie scelte valutative, in un ambito necessariamente duttile, ma non arbitrariamente dilatabile».

Può dirsi ormai scontato il principio per il quale il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge (cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa) richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante (e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive) e non faccia più riferimento alla ricostituzione del tenore di vita endo-coniugale che per oltre venticinque anni ha compromesso la reale funzione dell’assegno, nonostante la legge non ne parli, piegandosi alle invenzioni pretorie.

L’assegno divorzile mira a compensare lo squilibrio tra la condizione dei coniugi, conseguente alla crisi del matrimonio e tenuto conto del ruolo ricoperto e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole nella formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi; dovendosi considerare, in particolare, le aspettative professionali sacrificate dal coniuge debole per dedicarsi alla cura della famiglia (cfr. Cassazione, 18 ottobre 2019, n. 26594).

 

Quantificazione del giudice e applicazione del principio della Cassazione

In applicazione di tale principio, il giudice di merito deve quantificare l'assegno rapportandolo, dunque, non al pregresso tenore di vita familiare, ma in quella misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l'indipendenza economica del coniuge non autosufficiente (intendendo l'autosufficienza in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza) ed inoltre, ove ne ricorrano i presupposti, a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato, in funzione della contribuzione ai bisogni della famiglia, a realistiche occasioni professionali-reddituali, attuali o potenziali, rimanendo in ciò assorbito, in tal caso, l'eventuale profilo assistenziale (v. Cass., 9 agosto 2019, n. 21228).

Il concetto di “indipendenza economica” del coniuge richiedente l’assegno, baricentro della sentenza n. 11504/2017, e la cui incidenza ai lettori della “sentenza Lamorgese” sembrava rinnegare o quantomeno sottovalutare proprio quella “comune esperienza di vita e interessi”, che è il cuore del rapporto matrimoniale e, quindi, di riflesso, anche del suo scioglimento, non è superato dalle Sezioni Unite del 2018, ma viene recuperato in un ottica solidaristica.

 

L’ordinanza n. 22499/2021 e la giusta lettura degli orientamenti

Corretto quindi negare l’assegno alla moglie come ha stabilito l’ordinanza n. 22499/2021 poiché l'assegno dev'essere attribuito e determinato al fine di soddisfare le esigenze di vita dignitosa del coniuge richiedente che, dopo le sezioni Unite del 2018, devono tenere conto anche delle aspettative professionali sacrificate, in base ad accordo con l'altro coniuge, per avere dato un particolare e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell'altro coniuge. Se come in quel caso, la moglie lavora e il marito anche, a fronte di un’autonomia professionale ed economica acquisita autonomamente dai coniugi, non può parlarsi del riconoscimento di un assegno a fini compensativi per la sola disparità reddituale. L'attribuzione e la quantificazione dell'assegno non sono variabili dipendenti soltanto dalla differenza del livello economico-patrimoniale tra gli ex coniugi o dall'alto livello reddituale del coniuge obbligato, non trovando alcuna giustificazione l'idea che quest'ultimo sia tenuto a corrispondere tutto quanto sia per lui "sostenibile", quasi ad evocare un prelievo forzoso in misura proporzionale ai suoi redditi.

 

L’ordinanza n. 22537/2021 e la corretta quantificazione dell’assegno

  Nel secondo caso invece, al cospetto di una donna benestante e di un marito con gravi problemi di salute, avendo l'assegno natura composita, è proprio in tale circostanza che deve essere recuperata la funzione esclusivamente assistenziale dell'istituto (non è stato forse così dalla novella del 1987 fino alle sezioni Unite del 2018?), costituzionalmente fondata sul dovere inderogabile di solidarietà economica riconoscendo al coniuge un assegno divorzile, cosa questa possibile nel solo caso in cui non abbia mezzi adeguati per vivere e non sia in grado di procurarseli (per ragioni di età, salute, situazioni personali o sociali).

Viene dunque in rilievo l’esclusiva funzione assistenziale dell’assegno divorzile e la necessaria individuazione, nel giudizio ove uno dei coniugi divorziati ne chieda l’attribuzione, di due fasi nettamente distinte: una rivolta all’accertamento dell’an debeatur ed un’altra, ben distinta e successiva, dedicata alla determinazione del quantum debeatur.

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