Professione e Mercato

Associazione tra avvocati, la ripartizione degli utili è modificabile a maggioranza

Per la Cassazione, ordinanza n. 9782 depositata oggi, è legittimo lo statuto dello studio che prevedeva l’unanimità per determinare l’ammontare complessivo degli utili da ripartire e la maggioranza per la distribuzione percentuale tra i soci

di Francesco Machina Grifeo

Legittima la revisione a maggioranza della ripartizione degli utili dell’associazione professionale se lo statuto non lo vieta espressamente. La Corte di cassazione, ordinanza n. 9782 depositata oggi, ha così respinto il ricorso contro la decisione della Corte di appello di Roma di un socio fondatore secondo il quale per cambiare le quote sarebbe servita l’unanimità (dei fondatori).

Il Tribunale, invece, aveva bocciato le delibere che avevano cambiato i criteri di ripartizione degli utili risultanti del bilancio 2015, condannando l’Associazione a versare altri 60mila euro al socio fondatore ricorrente. A fondamento della decisione, evidenziava che l’articolo 14.1. dello Statuto prevedeva che «Ogni anno i Soci Fondatori, all’unanimità, determinano l’ammontare degli utili risultanti dal rendiconto approvato che dovrà essere oggetto di distribuzione», aggiungendo, al secondo comma, quanto segue: «14.2. I Soci, salvi diversi accordi, partecipano di anno in anno agli utili di cui è stata decisa la distribuzione secondo le percentuali concordate tra i Soci medesimi e fissate nell’Allegato A».

L’Allegato A stabiliva che ai due Soci name partners spettasse una quota di partecipazione del 32% ciascuno, al terzo socio il 20% e infine all’ultimo il 16%.

Di diverso avviso, come visto, la Corte di appello di Roma secondo la quale non era vero che per cambiare la ripartizione fosse necessaria una modifica dei patti associativi, da adottarsi, ai sensi dell’articolo 23 dell’atto costitutivo, con il voto unanime dei soci fondatori, nella specie mancante. E la Prima Sezione civile gli ha dato ragione.

La Corte di secondo grado, si legge nella decisione della Cassazione, correttamente ha ritenuto che l’articolo 14 dello Statuto riservasse alla decisione unanime dei due soci fondatori la determinazione dell’ammontare degli utili distribuibile tra tutti i soci, mentre, poi, al successivo comma 2, riconosceva a tutti i soci (fondatori e ordinari) il diritto alla partecipazione annua agli utili distribuibili (la cui entità doveva essere individuata dai soci fondatori), in base alle percentuali preventivamente concordate tra i soci medesimi e fissate nell’Allegato A, in assenza di «diversi accordi», per i quali, invece, non erano richieste particolari maggioranze, né il voto unanime dei soci fondatori, applicandosi, di conseguenza, la regola generale prevista per l’adunanza dei soci dall’articolo 15.1, ossia, per quanto di rilievo, la maggioranza dei voti computati per teste.

In altre parole, per la Corte territoriale, la misura delle quote di partecipazione agli utili (di cui al citato Allegato A), non era da considerare fissa e inderogabile, ben potendo essere modificata dai soci (fondatori e ordinari) con delibera adottata a maggioranza per teste.

Ed a conferma della natura non fissa e predeterminata della quota di partecipazione degli utili, la Corte territoriale ha dato rilievo al fatto che la modifica delle quote di partecipazione per gli esercizi precedenti (2010, 2011, 2012, 2013 e 2014) “era stata sempre oggetto di specifici accordi tra i soci, raggiunti dopo ampia discussione, in base alla relazione svolta in merito ai diversi apporti professionali forniti dagli associati nel corso dell’anno”.

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