Assoluzione nel merito anche se il reato è prescritto
Lo hanno deciso le SU della Cassazione, con una decisione resa nota soltanto in forma provvisoria, confermando la sentenza a SU “Tettamanti” del 2009, in un caso di impugnazione anche agli effetti civili
A seguito della prescrizione del reato, il giudice di appello adito anche contro la condanna anche al risarcimento dei danni, può pronunciare l’assoluzione nel merito a fronte di “prove insufficienti o contraddittorie”, applicando la regola processual-penalistica dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”. Lo hanno deciso le Sezioni unite della Cassazione, con una decisione resa nota per ora soltanto sotto forma di informazione provvisoria, che conferma la sentenza a SU “Tettamanti” del 2009.
La questione è stata sollevata dalla IV Sezione penale che richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 182/2021 ha chiesto se tale impostazione dovesse ritenersi ormai superata. Secondo l’ordinanza di rimessione (n. 30386/2023), infatti, il giudice dovrebbe limitarsi a dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione, e proseguire unicamente il giudizio sulle statuizioni civili applicando la diversa regola processual-civilistica del “più probabile che non”.
Il caso era quello del capitano di una imbarcazione per il trasporto passeggeri che aveva travolto, all’interno del porto di Siracusa, una imbarcazione da diporto provocando la morte per annegamento del conducente. In primo grado il tribunale lo aveva condannato ad un anno di reclusione ed al risarcimento dei danni alle parti civile da liquidarsi in separata sede. Proposto appello, la Corte territoriale di Catania, premesso che il reato si era nel frattempo prescritto, “in considerazione della presenza delle parti civili, valutava i fatti nel merito, e perveniva alla conclusione che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, l’istruttoria dibattimentale non avesse consegnato la prova della penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio”. E pertanto assolveva l’imputato perché il fatto non sussiste, con revoca delle statuizioni. Contro questa decisione hanno proposto ricorso le parti civili.
Punto “nodale” della pronuncia (“interpretativa di rigetto”) della Consulta, si legge nell’ordinanza di rimessione, è la lettura dell’articolo 578 cod. proc. pen.. Per la Corte costituzionale «il giudice dell’impugnazione penale (giudice di appello o Corte di cassazione), spogliatosi della cognizione sulla responsabilità penale dell’imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve provvedere - in applicazione della disposizione censurata - sull’impugnazione ai soli effetti civili, confermando, riformando o annullando la condanna già emessa nel grado precedente, sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell’illecito civile, senza poter riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilità dell’imputato per il reato estinto».
Così operando, però, si legge nell’ordinanza, il tema che è “rimasto in ombra concerne la compressione dello spazio per l’assoluzione dell’imputato, pur in assenza dell’evidenza della prova dell’innocenza […], a fronte di un compendio probatorio che non consenta di superare il limite del ragionevole dubbio.” In altri termini, l’interpretazione costituzionalmente orientata “pare interdire la possibilità dell’assoluzione nel merito in luogo della declaratoria di prescrizione”.
Inoltre, una simile soluzione sarebbe in contrasto con le “Sezioni Unite Tettamanti”, dovendone disapplicare il principio secondo cui “all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, quando, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili”.
E allora si deve applicare la legge 23 giugno 2017, n. 103 che ha introdotto un’ipotesi di rimessione “obbligatoria” che scatta ogni qual volta una delle Sezioni semplici ritenga di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite. E la norma, prosegue l’ordinanza, “trova evidente applicazione anche nel caso di novum che dipenda da una sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale”.
In attesa delle motivazioni, il quesito è stato risolto nel segno della continuità dalle S.U. secondo le quali: “In coerenza con i principi sanciti dall’art. 27 Cost., dall’art. 6 della Cedu e dagli artt. 48 e 53 della Carta di Nizza, il giudice può pronunciare l’assoluzione nel merito alla stregua dei principi enunciati da Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273”.