Penale

Assonime: holding a rischio di stretta penale

I punti critici della sentenza di Firenze con la condanna dell’ex ad di Fs

di Giovanni Negri

La responsabilità penale dell’amministratore delegato di una holding non può essere estesa sino al punto da comprendere tutti i reati commessi nelle controllate. È forte la preoccupazione di Assonime, espressa in una lunga analisi diffusa il 15 ottobre, se la linea espressa dalla corte d’appello di firenze che, un anno fa, ha condannato a 7 anni di carcere l’allora ad di Fs Mauro Moretti per la strage di Viareggio nella quale persero la vita 32 persone, venisse confermata e diffusa negli uffici giudiziari.

La responsabilità

A differenza dei giudici di primo grado, quelli del tribunale di appello di Firenze hanno stabilito che una «forte interferenza» nella gestione delle società controllate da parte della holding, attraverso una serie di atti di indirizzo e controllo, ha determinato l’assunzione in capo a quest’ultima e ai suoi vertici di una “posizione di garanzia” (modellata sull’articolo 40 comma 2 del Codice penale) che attribuisce una precisa responsabilità penale a chi, in possesso di precisi poteri giuridici, avrebbe potuto evitare un evento dannoso se li avesse esercitati.

L’estensione

Ora, ricordato anche che la grande parte delle società di dimensioni medio gradi è organizzata in forma di gruppo, per Assonime sarebbe grave attribuire ai vertici della holding capogruppo una responsabilità per tutti gli illeciti che si manifestino a valle, a meno che non si sia in presenza di situazioni patologiche e fraudolente. Una previsione di questo genere sarebbe in contrasto con l’assetto dei controlli societari che stabiliscono un collegamento necessario tra potere effettivo e responsabilità della gestione di un’area di rischio.

Assonime mette in evidenza come se si riconosce che l’amministratore della capogruppo esercita in concreto i poteri tipici dell’attività di direzione e coordinamento, di conseguenza non si può attribuirgli una responsabilità per omissione delle condotte contestate agli amministratori delle società controllate. «Il contrario assunto della Corte d'appello conduce, infatti, all’affermazione di una generalizzata presunzione di conoscenza e di partecipazione a tutti gli illeciti commessi nel gruppo da parte degli amministratori della capogruppo, che contrasta con il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale».

I punti critici

E allora, un primo limite della pronuncia, sottolinea Assonime, riguarda «l’avere ricondotto gli indici tipici del legittimo esercizio dell’attività di direzione e coordinamento ad una situazione di amministrazione di fatto, da cui derivare la responsabilità dell’amministratore delegato della società capogruppo».

Inoltre, una seconda seconda incongruenza nel ragionamento dei giudici fiorentini va individuata «nella ricostruzione delle posizioni di garanzia in capo all’amministratore delegato della capogruppo, sulla base di un asserito ruolo di amministratore di fatto delle società controllate, non supportato da coerenti presupposti giuridici come richiesti, da dottrina e giurisprudenza, per aversi tale qualifica».

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