Lavoro

Atti in Procura per l’insegnante che insulta i ministri e il Presidente della Repubblica su Facebook

Il Tribunale non solo conferma la destituzione dal servizio ma chiede anche l’accertamento degli eventuali reati

di Marisa Marraffino

La condotta dell’insegnante di una scuola superiore che durante il lockdown scrive post offensivi su Facebook contro vari ministri e anche contro il Presidente della Repubblica è talmente grave da legittimare la sua destituzione dal servizio con rinvio degli atti alla Procura per l’accertamento degli eventuali reati commessi. Lo ha stabilito il Tribunale di Alessandria (giudice Ardoino), con la sentenza 130, pubblicata il 19 maggio scorso, che ha chiarito i doveri dei docenti anche al di fuori dall’esercizio delle loro funzioni.

Il rinvio degli atti alla Procura rappresenta, poi, un monito contro ricorsi temerari e infondati.

«L’insegnante - si legge nella sentenza - dovrebbe adeguarsi spontaneamente a principi connaturali, conosciuti e seguiti non solo senza imposizioni, ma con fierezza e personale impegno». Nel corso del giudizio, invece, l’insegnante aveva ammesso di aver scritto le frasi, tutte gravemente denigratorie, ma riteneva troppo afflittiva la sanzione della destituzione.

Per il giudice, neppure il malumore del lockdown può giustificare le offese pubbliche verso le istituzioni, compresa quella di appartenenza, ovvero il ministero della Pubblica istruzione, soprattutto alla luce del ruolo ricoperto. La pronuncia ricorda infatti i doveri di disciplina e onore prescritti ai pubblici dipendenti dalla Costituzione nonché dal codice di comportamento del 28 novembre del 2000 che impone ai dipendenti pubblici precisi doveri di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta.

Gli insegnanti devono quindi tenere comportamenti corretti non solo nei confronti del datore di lavoro ma anche degli studenti.

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