Penale

Attività finanziarie abusive, no al raddoppio della pena

Le Sezioni unite risolvono un contrasto tra le pronunce della giurisprudenza. Dopo la riforma del 2010 non scatta più l’aumento introdotto nel 2005

di Andrea Puccio

Al reato di abusivismo finanziario non è applicabile il raddoppio di pena previsto dall’articolo 39 della legge 262/2005. Lo ha chiarito la Cassazione a Sezioni unite che, con la sentenza 17615, depositata il 27 aprile 2023, si è pronunciata sulla disciplina sanzionatoria del reato previsto dall’articolo 132 del Testo unico bancario (decreto legislativo 385/1993), risolvendo la querelle giurisprudenziale sviluppatasi sulla cornice edittale del reato.

Le norme

Il reato di abusivismo finanziario sanziona chi esercita, in assenza delle autorizzazioni previste dalla legge o dell’iscrizione negli appositi elenchi, una o più attività finanziarie nei confronti del pubblico ed è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni, oltre la multa. La legge 262/2005, all’articolo 39, ha poi previsto un generale raddoppio delle pene per alcuni reati, tra cui proprio l’abusivismo finanziario, che è quindi passato a essere sanzionato con la reclusione da un anno a otto anni (oltre la multa).

Il decreto legislativo 141/2010 ha poi interamente riformulato l’articolo 132 del Testo unico bancario sotto il profilo precettivo e confermato il trattamento sanzionatorio presente nel testo originario della norma, senza tener conto del raddoppio delle pene stabilito dall’articolo 39. Di qui, il dubbio che il nuovo articolo 132 Tub avesse tacitamente abrogato il raddoppio sanzionatorio introdotto nel 2005.

Giurisprudenza divisa

Un primo orientamento (Cassazione 18544/2013) ha ritenuto che la modifica normativa avesse lasciato intatto il raddoppio sanzionatorio, perché il decreto legislativo 141/2010 avrebbe operato una «mera risistemazione delle figure sanzionatorie» disciplinate dal Tub con l’esplicito fine di adeguarle al mutato assetto normativo degli intermediari finanziari, senza, tuttavia, intaccarne le scelte di politica criminale, comprese quelle in tema di raddoppio delle pene.

Le Sezioni unite hanno, invece, ora aderito a un secondo indirizzo giurisprudenziale (Cassazione 1277/2019), per cui la nuova formulazione dell’articolo 132 Tub ha causato il venir meno del raddoppio di pena introdotto nel 2005. A fondamento di questa conclusione starebbe l’articolo 15 delle Preleggi, per cui, se una legge successiva regola ex novo e integralmente una specifica materia, si ha l’abrogazione tacita della legge precedente. In questo senso, l’articolo 132 Tub non sarebbe stato modificato solamente sotto il profilo precettivo, ma anche sotto quello sanzionatorio, attraverso un’abrogazione tacita dell’articolo 39, con riferimento all’abusivismo.

Il fulcro della decisione delle Sezioni unite ruota proprio attorno a questo rilievo: la riforma del 2010 ha integralmente sostituito l’articolo 132 Tub, determinando, da un lato, una contrazione dell’ambito applicativo di questa fattispecie (ha abrogato la contravvenzione prima prevista al comma 2) e, dall’altro, un suo ampliamento, facendovi rientrare anche la concessione abusiva del microcredito e dei confidi.

Proprio l’introduzione di queste ipotesi avrebbe portato con sè un «significativo ridimensionamento del disvalore complessivo» del reato: le condotte di abusivismo finanziario riconducibili alla concessione di microcrediti e confidi sarebbero dotate di «minore rilevanza sistemica», come attesta il fatto che i regimi di vigilanza per esse previsti, meno rigorosi, sono affidati a soggetti privati e non alla Banca d’Italia; ciò renderebbe ragionevole la riduzione delle sanzioni.

L’integrale riformulazione dell’articolo 132 Tub e l’estensione della fattispecie, secondo le Sezioni unite, hanno comportato una nuova regolamentazione della materia e abrogato tacitamente il raddoppio delle pene per l’abusivismo finanziario.

Gli effetti

La sentenza è destinata ad avere ricadute sia sul piano sostanziale, sia su quello processuale: tra le più rilevanti, la riduzione del termine di prescrizione del reato, che dovrà essere calcolato alla luce del nuovo regime sanzionatorio, e la determinazione dei termini di durata massima delle misure cautelari (articolo 303 Codice procedura penale). Del resto, la stessa sentenza delle Sezioni unite ha tratto origine proprio da una vicenda inerente alla decadenza della misura cautelare applicata all’indagato per decorso dei termini di durata massima.

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