Civile

Ausiliari del giudice, aumentati i compensi nel processo civile

Quando la parte è ammessa al patrocinio a spese dello Stato

di Giovanni Negri

Una spinta per compensi più equi ai professionisti impegnati come ausiliari del giudice. È quella che arriva dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 166, depositata ieri e scritta da Maria Rosaria San Giorgio, ha stabilito che, anche nel processo civile, è illegittima la riduzione dell’onorario dell’ausiliario prevista quando la parte è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, se l’importo oggetto di decurtazione non è stato adeguato alle variazioni del costo della vita.

Nel caso approdato alla Consulta, il compenso per il consulente tecnico d’ufficio medico-legale, designato in un giudizio civile con ammissione al patrocinio per i non abbienti, avrebbe dovuto essere liquidato, sulla base di un valore tariffario mai aggiornato dal 30 maggio 2002, in 145,38 euro, importo inadeguato all’attuale valore economico e sociale dell’attività svolta, alla durata dell’incarico e alla stessa dignità professionale dell’esperto.

Per la sentenza, infatti, che pure riconosce la discrezionalità del legislatore in materia «nondimeno, una norma che, come quella in scrutinio, decurti significativamente la remunerazione di un’attività professionale svolta nell’interesse della giustizia, può ritenersi ragionevole solo se la misura del sacrificio inflitto al professionista sia correttamente calibrata rispetto al fine di riduzione della spesa erariale. Come già ricordato, affinché tale canone di adeguatezza possa ritenersi soddisfatto, la decurtazione deve essere operata su tariffe preservate nella loro elementare consistenza in relazione alle variazioni del costo della vita (sentenza n. 192 del 2015)».

Una conclusione che, sottolinea la Corte, deve essere ribadita anche adesso, quando cioè il rapporto di proporzione tra l’onorario dell’ausiliario e la tariffa libero-professionale sarebbe irrimediabilmente compromesso, se la già pesante riduzione della metà intervenisse su importi tabellari che, a causa della protratta svalutazione, risultano già di per sé in maniera assai significativa distanti dai valori di mercato.

L’illegittimità era gia stata dichiarata nel contesto del processo penale e ora la Corte costituzionale ricorda che non c’è ragione di valorizzare una sua tipicità per giustificare la diversa disciplina quando invece le regole sul punto sono pienamente sovrapponibili. Per questo la pronuncia si colloca in continuità con le sentenze nn. 192 del 2015 e 178 del 2017, con le quali era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’analogo meccanismo di decurtazione introdotto dall’articolo 106-bis del Dpr n. 115 del 2002 per il processo penale.

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