Amministrativo

Autonomia differenziata delle regioni, la Consulta deposita la sentenza

La sentenza n. 192/2024 depositata oggi contiene 14 dichiarazione di incostituzionalità (anche derivata), 12 inammissibilità e 24 dichiarazioni di non fondatezza

11/01/2011 Roma, sede della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale ha depositato oggi in Cancelleria la sentenza numero 192/2024 relativa alle questioni di costituzionalità sulla legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie (la n. 86 del 2024), promosse dalle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, con l’intervento ad opponendum di Veneto, Piemonte e Lombardia. Come anticipato in un comunicato ufficiale dello scorso 14 novembre, la Consulta ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge ma ha invece giudicato illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo.

In particolare, sono 14 le dichiarazione di incostituzionalità (anche derivata), 12 le inammissibilità e 24 le dichiarazioni di non fondatezza di questioni poste dai ricorrenti.

Per la Corte la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, deve avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela, secondo il principio di sussidiarietà. E allora l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini.

La Corte in particolare ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge:

- la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà;

- il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;

- la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP;

- il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;

- la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;

- la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;

- l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’articolo 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.

La Corte ha interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge:

- l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo;

- la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata;

- la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;

- l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso;

- la clausola di invarianza finanziaria richiede – oltre a quanto precisato al punto precedente – che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari.

Spetta al Parlamento, conclude la nota della Consulta, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.

La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale.

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