Professione e Mercato

Avvocati, nel 2020 essenziale il reddito di ultima istanza

Oltre il 61% degli intervistati ha avuto accesso agli aiuti statali per il Covid-19, attivi più di 231 mila legali, quattro ogni mille abitanti. Il 50% non raggiunge 20mila euro di reddito

di Patrizia Maciocchi

Per oltre il 70% degli avvocati la condizione lavorativa nel 2020 è diventata critica. È quanto si ricava dal V rapporto Censis 2021 «Avvocatura allo specchio» che stima l’impatto della pandemia sulla professione. Una situazione difficile, tanto che il 61,5% degli intervistati ha avuto accesso al reddito di ultima istanza previsto dal governo. Somme considerate inadeguate, tuttavia, secondo il 54% degli intervistati, importanti per continuare la professione. Dalla rilevazione, fatta a fine 2020, si deduce l’effetto negativo sui redditi degli avvocati, proprio quando si registrava una leggera ripresa: dai 37.500 euro del 2014 ai 40.180 del 2019. Un momento percepito come molto critico dal 32% del campione «c’è poco lavoro, la situazione professionale è incerta», mentre per il 39,% la situazione «è abbastanza critica, ci sono difficoltà ma si sopravvive». Tra gli ammortizzatori sociali solo il 10% ha chiesto la Cassa integrazione guadagni per Covid-19, prevista per gli studi con personale fino a 5 dipendenti. Mentre tra le misure di assistenza messe in campo da Cassa forense la più gettonata riguarda i canoni di locazione degli studi (7,6% persone fisiche, 2,6 studi associati o società tra avvocati).

LA FOTOGRAFIA DELLA PROFESSIONE

I dati, relativi al 2019, disegnano una categoria - composta da oltre 231 mila avvocati, quasi quattro ogni 1000 abitanti - equamente divisa tra uomini e donne. Anche se il 2020 è l’anno del sorpasso delle avvocate: sono 153 in più del colleghi (115.724 su un totale di 231.295 avvocati). Si conferma, nel 2019, lo “scollamento” che penalizza le donne e i giovani : solo a 50 anni si può pensare di raggiungere il livello medio. Una conferma lo scarto Nord-Sud che supera i 50 mila euro, se le regioni messe a confronto sono la Lombardia e la Calabria.

Oltre il 50% dei legali non supera comunque la soglia dei 20mila euro, mentre cresce di tre punti percentuali la fascia compresa tra i 20mila e i 50mila euro. Sfora il 30% il numero di avvocati con 10.300 euro.

Ma a far soffrire i legali in tempo di pandemia è stata più la chiusura dei tribunali che la riduzione delle entrate. Il 34,4% ha, infatti, indicato la sospensione dell’attività giudiziaria come il condizionamento più negativo, mentre l’aspetto economico è stato è stato il maggior disagio per il 30,6%. Durante il lockdown il 43% ha scelto l’alternanza del lavoro da studio e a distanza, l’attività da remoto in esclusiva è stata svolta dal 29,6%, a preferire solo lo studio è stato il 15,9% degli avvocati, mentre l’11, 3% ha dovuto interrompere per problemi organizzativi. Nel rapporto anche il parere degli italiani sulla giustizia: il 35% mette al primo posto la riforma per uscire dalla crisi economica e tornare a crescere. Al secondo posto tra le priorità il lavoro, la salute e la scuola (33,2%).

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