Avvocati, la dichiarazione del curatore di ignorare il credito equivale al mancato giuramento
Le S.U. sentenza n. 25442/2023 sposando una tesi minoritaria hanno espresso un principio di diritto
Una chance in più per avvocati ed altri professionisti di ottenere l'ammissione dei propri crediti professionali al passivo fallimentare. Le S.U. sentenza n. 25442/2023 sposando una tesi fino ad oggi minoritaria con riguardo agli effetti del "giuramento decisorio" nel caso di un credito fallimentare per il quale il curatore abbia eccepito l'avvenuto pagamento attraverso l'istituto della "prescrizione presuntiva" hanno affermato che la dichiarazione del curatore di non conoscere i fatti deve vale come giuramento negativo, a favore dunque del creditore.
Il caso parte dalla domanda di ammissione al passivo del fallimento di una s.r.l. da parte di un legale per i crediti da lui vantati a titolo di corrispettivo per prestazioni professionali svolte in favore della società in bonis. Il giudice delegato rigettò (in parte) la domanda, accogliendo l'eccezione di prescrizione presuntiva triennale, sollevata dal curatore in riferimento all'art. 2956, n. 2, cod. civ.. Il Tribunale di Brescia, decidendo sull'opposizione, avanzata ai sensi dell'art. 98 della L.F., ribadì il rigetto della domanda. Contro il decreto del tribunale il professionista ha proposto ricorso per cassazione che l'ha rimessa alla Sezioni unite.
La questione più delicata, afferma la Cassazione, posto che al curatore, terzo rispetto all'imprenditore fallito, non può deferirsi il giuramento de veritate, è indicare quali effetti siano riconducibili alla pronuncia della formula di giuramento, qualora il delato dichiari di non conoscere i fatti. Se la risposta resta quella "timidamente elaborata sinora", cioè che la dichiarazione di non conoscenza equivale a dichiarazione favorevole al giurante, le perplessità evidenziate resteranno inappagate. È certo infatti che il curatore potrà agevolmente eccepire la prescrizione presuntiva e poi, in sede di giuramento, trincerarsi dietro la non conoscenza dei fatti, "così rendendo del tutto inutile l'unico strumento accordato al creditore per contrastare l'eccezione". "Si tratterebbe - si legge - nel concreto di svuotare un rapporto d'equilibrio, già precario, tra diritti del curatore e diritti del credito, la cui difesa è fortemente limitata in sede processuale, come ormai da tempo ampiamente evidenzia la dottrina".
La dichiarazione di non conoscere il fatto estintivo dell'obbligazione, argomenta la Suprema corte, non può dunque ritenersi equivalente al giuramento affermativo, favorevole al giurante. "Al contrario essa deve equivalere agli esiti di un giuramento negativo o al rifiuto di giurare, favorevole al deferente-creditore. Diversamente opinando, e cioè ponendo sul medesimo piano una esplicita dichiarazione di adempimento ed una manifestazione di ignoranza del medesimo, di cui con il ricorso alla prescrizione presuntiva si eccepisce il suo effettivo avveramento, vi sarebbe un "salto logico", e con esso non solo un mancato rispetto dell'art. 24 Cost., ma anche degli artt. 111 Cost. e 6 CEDU, come già evidenziato da questa Corte nella sent. n. 20602/2022".
L'accoglimento di questo "recente e più consapevole orientamento", certo minoritario nella giurisprudenza di legittimità, continua la decisione, "garantisce un rapporto più equilibrato tra le parti, in una chiave interpretativa che restituisce modernità ad istituti per molti aspetti ampiamente criticati".
Da qui l'affermazione del seguente principio di diritto: «In tema di accertamento del passivo fallimentare, qualora, in sede di controversia insorta per il rigetto della ammissione di un credito, maturato in forza di un rapporto riconducibile alla previsione dell'art. 2956, primo comma, n. 2, c.c., sia eccepita dal curatore la prescrizione presuntiva del credito e il creditore deferisca giuramento decisorio, la dichiarazione del curatore di non sapere se il pagamento sia avvenuto o meno produce gli effetti del mancato giuramento».