Professione e Mercato

Avvocati e social: quando l'invito su Facebook a promuovere un'azione legale non viola il codice deontologico

Il Consiglio nazionale forense, sentenza RD 81/22, ha respinto il ricorso del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Firenze contro l'archiviazione

di Francesco Machina Grifeo

L'invito pubblico sui social a promuovere un'azione legale non costituisce necessariamente violazione dell'articolo 37 del Codice deontologico forense. Va infatti sempre accertato in concreto se il comportamento "incriminato", costituisca, o meno, indebito accaparramento di clientela. Lo ha stabilito il Consiglio nazionale forense, con la sentenza RD 81/22, che ha respinto il ricorso del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Firenze contro il provvedimento del novembre 2020 del Consiglio Distrettuale di Disciplina Forense con il quale era stata deliberata l'archiviazione del procedimento disciplinare a carico del legale.

L'avvocato aveva pubblicato sul proprio profilo Facebook, agli inizi dell'emergenza pandemica, un video nel quale, stigmatizzando la prospettata apertura di un centro Covid in un condominio vicino alla propria abitazione, promuoveva la sottoscrizione di un atto di denuncia-querela nei confronti della Regione Toscana, mettendosi a disposizione per assistenza legale gratuita in relazione al seguito della denuncia medesima (unitamente ad altro collega, rimasto però del tutto estraneo alla vicenda).

Avviato il procedimento disciplinare, il professionista si era difeso affermando di aver pubblicato il video non nella sua qualità di avvocato, bensì di privato cittadino, "esercitando libertà fondamentali e nella sincera convinzione che fosse stato necessario promuovere un atto di denuncia nei confronti della Regione Toscana". Non riscontrando alcuna violazione deontologica, il Consiglio di disciplina ha disposto l'archiviazione.

Contro questa decisione ha proposto ricorso il Coa di Firenze lamentando la "mancata considerazione della circostanza che - per come emergerebbe dal video - l'avvocato avrebbe offerto servizi professionali, presentandosi quale "difensore" di coloro che sottoscrivessero la denuncia-querela con invito al pubblico del video a contattarlo". Il legale, dal canto suo, ha ribadito la propria correttezza provata dal fatto che per sottoscrivere la denuncia già predisposta non avrebbe chiesto onorari né suggerito alcuna difesa.

Il Cnf, per prima cosa ricorda che per giurisprudenza costante (sentenza n. 97/2021) "costituisce violazione disciplinare l'inosservanza dell'espresso divieto ex art. 37 cdf di offrire, senza essere richiesto, una prestazione rivolta a potenziali interessati per uno specifico affare (nel caso, sul sito internet di un comitato costituito ad hoc era pubblicato il modulo per l'adesione ad una class action mediante apposito mandato, da inviare allo studio professionale di un avvocato, previo versamento di una modesta somma, asseritamente imputata a spese vive)." Ed ancora (Cnf n. 75/2021) "costituisce illecito disciplinare l'informazione, diffusa anche attraverso siti internet, fondata sull'offerta di prestazioni professionali gratuite ovvero a prezzi simbolici o comunque contenuti bassamente commerciali, in quanto volta a suggestionare il cliente sul piano emozionale, con un messaggio di natura meramente commerciale ed esclusivamente caratterizzato da evidenti sottolineature del dato economico (il professionista aveva pubblicato nel proprio sito internet un annuncio nel quale reclamizzava la propria attività ed evidenziava i prezzi bassi, precisi e chiari, primi appuntamenti gratuiti nonché l'applicazione di tariffe basse e riscossione degli onorari a definizione delle pratiche)".

Venendo al ricorso, per il Cnf, nel provvedimento di archiviazione non si rinvengono né carenze di motivazione, né contraddittorietà nel processo logico giuridico e neppure carenze di istruttoria. Del resto, spiega il Consiglio, "nei procedimenti disciplinari l'oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell'incolpato…, tenendo conto della gravità del fatto, del grado della colpa, della eventuale sussistenza del dolo e della sua intensità, del comportamento dell'incolpato, precedente e successivo al fatto".

Il problema di fondo dunque, prosegue la decisione, era quello di accertare se il professionista avesse violato l'articolo 37 del codice deontologico forense che vieta di offrire, sia direttamente che per interposta persona, le prestazioni professionali di avvocato e conseguentemente si vertesse in materia di "accaparramento della clientela". Ma dalla disamina delle circostanze "è indubbia la natura non professionale della riflessione e che non poteva essere svolta dall'avvocato perché mancava qualsiasi sottoscrizione di conferimenti di incarichi o moduli a nome dello stesso". D'altra parte, come affermato dall'incolpato ogni atto, anche di denunzia all'autorità giudiziaria, poteva essere presentata anche personalmente da qualunque cittadino. "Non deve essere sottaciuto – conclude il Cnf -, che nella fattispecie non si trattava di nomina a difensore dell'avvocato nel procedimento da instaurarsi così che nessun accaparramento di clientela poteva e può sussistere proprio esaminando, così come ha fatto l'organo di disciplina, quanto rinveniente dal video Facebook".

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