Avvocati, l’esame si aggiorna ma i candidati sono in calo
Per quest’anno via i due pareri scritti, resta un atto e casi pratici agli orali. Dal periodo pre pandemia perso il 35% degli aspiranti al titolo <br/>
L’esame da avvocato sperimenta un nuovo modello. Per la prossima sessione si svolgerà infatti con una formula che prevede una prova scritta (un atto) e una orale: una sorta di ibrido tra il modello tradizionale pre Covid, con le tre prove scritte e quella orale su cinque materie, e la formula con il doppio orale adottata in pandemia e prorogata fino alla sessione 2022, ancora in corso.
Il nuovo assetto è valido per ora solo per il 2023, in attesa di una revisione complessiva del sistema di accesso e della piena attuazione dei corsi per i tirocinanti: una sorta di formazione intermedia pratica tra la laurea e l’abilitazione, già prevista dalla legge professionale e dal decreto ministeriale 17 del 2018, ma divenuta obbligatoria solo per gli iscritti all’albo dei praticanti dal 1° aprile 2022.
A regolare il nuovo esame è un emendamento al decreto Omnibus (Dl 51/2023), approvato in prima lettura alla Camera la scorsa settimana e ora in attesa del sì del Senato entro la prima settimana di luglio. Senza questa novità l’esame 2023 sarebbe tornato, in base a quanto annunciato dal ministero della Giustizia con una circolare, al modello pre pandemia.
Una prospettiva che preoccupava sia i candidati sia le istituzioni e le associazioni, perché gli aspiranti avvocati nel frattempo si erano preparati per un esame diverso. «I corsi di formazione per i tirocinanti – spiega Giovanna Ollà, consigliere segretario del Consiglio nazionale forense – sono stati calibrati sul doppio orale. Abbiamo quindi cercato una mediazione per individuare un esame coerente con il percorso di studi».
La sessione 2023 manda in soffitta le due prove scritte consistenti in altrettanti pareri su argomenti di diritto civile e penale. Resta invece l’atto «su un quesito proposto, in materia scelta dal candidato tra il diritto civile, il diritto penale e il diritto amministrativo», come spiega la norma. Il voto minimo per essere ammessi all’orale è 18. «È un approccio più moderno, meno nozionistico e più legato alla professione in concreto», commenta Francesco Perchinunno, presidente dei giovani di Aiga. Cambia anche la prova orale (a cui sono ammessi i candidati che superano lo scritto). Oltre alla deontologia, ha due fasi:
1 la discussione di un caso pratico in una materia scelta dal candidato tra civile, penale e amministrativo;
2 la discussione di brevi questioni su tre materie, di cui una obbligatoria (diritto processuale) e le altre scelte dal candidato in una rosa di cinque.
La nuova disposizione, inoltre, deroga alle norme sui corsi di formazione permettendo ai tirocinanti che li frequentano di accedere all’esame di Stato senza avere svolto le verifiche intermedie ma solo quella finale, che consisterà in un atto o un parere sugli argomenti trattati. La norma, chiarisce Ollà, «salvaguarda la formazione fatta: le verifiche non possono essere svolte nella modalità pensata in origine perché non è stata istituita la Commissione incaricata di tenere la banca dati delle domande da usare».
Le novità si innestano su un esame di Stato che, negli ultimi anni, vede i partecipanti calare in modo vistoso: i candidati che si sono presentati alle prove della sessione 2022, iniziata a gennaio, sono stati il 35% in meno rispetto a quelli della sessione 2019. Il numero degli abilitati è invece salito, con un picco nel 2020, quando sono stati quasi 12mila, il 45% in più rispetto agli 8.200 dell’anno precedente. La ragione sono i buoni esiti della doppia prova orale, che ha spinto verso l’alto il tasso di successo: dal 37% del periodo pre Covid al 52,7% del 2020 e al 47,5% del 2021.
La soluzione per il 2023 è transitoria. «A settembre partirà un tavolo con i ministeri della Giustizia e dell’Università – annuncia Perchinunno – occorre aggiornare tutto l’accesso, a partire dall’offerta formativa».