Professione e Mercato

Avvocati: il mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente non impone la risoluzione del contratto di patrocinio

Il cliente sia nel merito che in Cassazione ha eccepito genericamente come il professionista avesse svolto il proprio incarico con estrema superficialità

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di Giampaolo Piagnerelli

Quando l'inadempimento dell'avvocato non è estremamente grave non è giustificata la risoluzione del contratto di patrocinio. Questo il principio fissato dalla Cassazione con l'ordinanza n. 18011/23.

Il verdetto del Tribunale

Nel giudizio di merito instaurato il contraddittorio, il cliente resisteva ed eccepiva il grave inadempimento dell'avvocato, per non avere questi svolto la propria attività professionale con la diligenza necessaria. Pertanto, proponeva domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto d'opera intellettuale per grave inadempimento e, in via subordinata, la riduzione del compenso preteso. Il Tribunale di Potenza, con ordinanza n. 1595 del 2021, accoglieva integralmente la domanda principale e rigettava la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto d'opera intellettuale, liquidando il compenso secondo i minimi tariffari di cui al Dm 55/2014. In particolare, il giudice adito riteneva che l'inadempimento del professionista non fosse di gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto di patrocinio, riconducendo la fattispecie all'ipotesi di cui all'articolo 1455 del codice civile, avendo riguardo al criterio di proporzionalità, alla parzialità dell'inadempimento e alle conseguenze prodotte sulla quantificazione del credito, ritenendo, al più, sussistenti le condizioni per la proposizione di una domanda risarcitoria, non formulata dal cliente.

Il principio della Cassazione

Il cliente ha presentato ricorso in Cassazione sulla base di un unico motivo, cui l'avvocato resiste con controricorso. La doglianza che - nella sostanza si risolve nella denuncia di omesso esame di fatti decisivi - , almeno in parte, risulta per la Suprema corte affetta da profili di inammissibilità, in quanto non rispondente appieno al canone prescritto da Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 8053 del 2014, a mente del quale, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli articoli 366, primo comma, n. 6), e 369, secondo comma, n. 4), cpc, il ricorrente deve indicare:

1) il"fatto storico", il cui esame sia stato omesso;

2) il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente;

3) il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti;

4) la sua "decisività"

Solo in presenza di questi elementi il cliente ha ragione e secondo un principio di Cassazione in materia di responsabilità del professionista, l'assistito è tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno, ma anche che questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla difettosa prestazione professionale. Pertanto l'inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell'attività esercitata, ragion per cui l'affermazione della responsabilità dell'avvocato implica la prova - sulla scorta degli elementi che il cliente ha l'onere di fornire - che se il professionista avesse compiuto l'attività omessa il cliente avrebbe conseguito vantaggi economicamente valutabili. In applicazione di tale principio è stato ritenuto, quindi, che l'inadempimento del professionista nei riguardi del cliente non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira quest'ultimo, ma soltanto dalla violazione da parte del professionista del dovere di diligenza inerente e adeguato alla natura dell'attività esercitata.

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