Civile

Avvocati, il mandato già sciolto non fa scattare in automatico il no all’insinuazione

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di Patrizia Maciocchi

Non è tardiva l’insinuazione al passivo dell’avvocato che continua il patrocinio in Cassazione anche dopo il fallimento, nella convinzione che il suo mandato fosse ancora in essere.

Il giudizio in sede di legittimità non si interrompe, infatti, con la dichiarazione di fallimento, né si scioglie automaticamente il mandato difensivo. L’”incarico” è sospeso in attesa che il curatore eserciti la facoltà che gli è concessa dalla legge fallimentare di scegliere se proseguire o chiudere.

Nello specifico il legale aveva interpretato l’inerzia del curatore come una tacita volontà di non interrompere il mandato e proseguito il giudizio presso la Suprema corte.

Ma quando aveva presentato la sua domanda di insinuazione al passivo, questa era stata bollata come inammissibile perché tardiva. Il Tribunale aveva chiarito che il credito del difensore matura al momento della cessazione dell’incarico, circostanza che può essere precedente al completamento dell’attività difensiva. La Corte di cassazione (sentenza 4795) accoglie il ricorso del legale, contro la decisione del giudice di merito.

Per la Suprema corte è vero che l’avvocato ha male interpretato il comportamento del curatore. Il suo ”silenzio” dopo che il legale lo aveva informato del deposito del ricorso in Cassazione e della fissazione dell’udienza, andava infatti letto come la volontà di non voler subentrare nel rapporto al posto del fallito. È altrettanto corretto il ragionamento del Tribunale, secondo il quale per effetto del fallimento il difensore avrebbe dovuto insinuare il proprio credito e non attendere la definizione del procedimento pendente, perché non aveva più titolo per farlo.

Accertato che il difensore, nominato dalla società fallita quando era in bonis, non aveva diritto di chiedere i compensi per l’attività prestata dopo il fallimento anche se in sede di legittimità, non si può considerare ultratardivo il credito insinuato dal legale, che era comunque dovuto per l’attività svolta prima.

In assenza di precedenti specifici sul tema la Cassazione afferma che il ritardo non si poteva imputare al ricorrente.

L’avvocato aveva infatti confidato sul fatto che il suo mandato non si fosse sciolto e continuato a patrocinare nel giudizio per Cassazione. Per il legale la durata del suo incarico difensivo andava di pari passo con il giudizio presso la Suprema corte.

Ha sbagliato ma in una materia che non era stata ancora esplorata.

Corte di cassazione – Sezione I – Sentenza 24 febbraio 2020 n.4795

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