Civile

Avvocati, la prescrizione dell'azione disciplinare segue le regole vigenti al momento dei fatti

Non scatta la retroattività del regime più favorevole come quando viene modificata la fattispecie e la relativa pena

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di Paola Rossi

La Cassazione civile a sezioni Unite fa il punto sulle regole di precrizione applicabili in materia di prescrizione dell'azione disiciplinare a fronte del cambiamento normativo della relativa disciplina. Di fatto non scatta la retroattività del nuovo regime più favorevole all'incolpato come nel caso in cui le norme di riforma modificano il perimetro dell'illecito disciplinare e del relativo trattamento sanzionatorio. Lo afferma la sentenza n. 17480/2023 in relazione allo spartiacque creatosi tra le vecchie regole del Rdl 15378/1933 e quelle nuove della legge 247/2012.

Il giudizio disciplinare nei confronti del ricorrente iniziava a seguito di numerosi esposti presentati al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati nei quali si segnalavano diverse condotte poste in essere dal legale e che avrebbero potuto avere rilievo disciplinare.
In particolare l'avvocato era stato accusato di:
- tentata estorsione da un collega da cui scaturiva un procedimento penale per calunnia;
- aver proferito frasi volgarmente lesive dell'onore e del decoro di un collega nel corso di un'udienza e alla presenza di altre persone;
- aver accettato un incarico professionale a favore di una cliente, in relazione a una successione ereditaria di uno zio, pur essendo il professionista creditore del defunto e, di conseguenza, della sua stessa cliente.

L'azione disciplinare
Il Consiglio distrettuale di disciplina aveva chiesto chiarimenti all'avvocato e aveva acquisito gli atti del procedimento penale instaurato a suo carico e deliberava l'apertura di un procedimento disciplinare nei suoi confronti.
All'esito del procedimento disciplinare il Consiglio distrettuale di disciplina aveva assunto la decisione con la quale riconosceva la responsabilità disciplinare dell'avvocato per le incolpazioni relative al turpiloquio in aula e all'assunzione dell'incarico accettato in pieno conflitto di interessi. Al contrario, lo assolveva sull'asserita calunnia commessa in danno di un altro collega. In conclusione, per le incolpazioni rimaste in piedi veniva irrogata la sanzione disciplinare della sospensione di un mese dall'esercizio della professione.
Seguiva l'impugnazione dell'avvocato contro la decisione disciplinare che si incentrava fondamentalmente sulla compiuta o meno prescrizione. Sosteneva il ricorrente che andasse applicata la nuova regola vigente in materia, che consentiva al massimo un periodo di decorso della prescrizione entro il limite di sette anni e mezzo. E contestava quindi il calcolo fondato sul previgente sistema che contempla periodi di sospensione e di ripartenza del termine di cinque anni.
Il Cnf, con la sentenza ora impugnata in Cassazione, aveva accolto in parte il ricorso dichiarando la prescrizione dell'illecito disciplinare relativo all'incarico assunto in conflitto di interessi. Ma il Cnf irrogava la sanzione della censura in base alla conferma del restante addebito ossia quello delle offese recate in pubblica udienza al collega.

Il ricorso per cassazione
Il ricorso per cassazione contro la decisione del Cnf s'incentra fondamentalmente sull'affermazione che sarebbe spirato il termine prescrizionale dell'addebito confermato. Il ricorso richiama l'articolo 56 della legge 274/2012 sostenendo che - dato che la sentenza penale relativa all'esposto risaliva al 23 novembre 2013 - la prescrizione sarebbe maturata al massimo il 23 maggio 2021.
Il ricorrente a sostegno del motivo di ricorso sull'intervenuta prescrizione faceva rilevare come essa fosse stata riconosciuta erroneamente solo con riferimento al capo dell'atto di incolpazione sul conflitto di interessi.
In sostanza, il ricorrente ritiene che l'unica incolpazione rimasta in piedi si sarebbe di fatto prescritta tenendo conto che per il decorso del termine doveva considerarsi quale dies a quo la formazione del giudicato penale sul punto.

Il rigetto
La Cassazione risponde - sull'unico punto ancora in discussione - che il ricorrente sbaglia nel ritenere applicabile la norma dell'articolo 56 della legge 247/2012 in vigore dal 2 febbraio 2013. Dalla asserita applicabilità della norma ne sarebbe derivato un computo della durata del termine di prescrizione pari nel massimo a sette anni e mezzo, da cui il ricorrente deduceva l'avvenuto decorso tenendo come dies a quo la data del passaggio in giudicato (23 novembre 2013) della sentenza penale, relativa al reato riconducibile alla stessa condotta ascrittagli in sede disciplinare.
I giudici di legittimità smentiscono il ragionamento del ricorrente e asseriscono che in relazione all'addebito disciplinare per il quale è stata irrogata la sanzione della censura e avuto riguardo al momento della sua consumazione con condotta istantanea (14 dicembre 2007) debba trovare applicazione il previgente regime normativo dell'articolo 51 del Rdl 1578/1933. In base a tale disposizione l'azione disciplinare si prescriveva in cinque anni, senza alcuna determinazione di un termine massimo comunque non oltrepassabile per effetto di sopravvenute interruzioni (come previsto invece con il nuovo articolo 56 della legge 247/2012, però non applicabile retroattivamente).
Infatti, con la norma precedente in applicazione della disciplina generale dell'interruzione di cui all'articolo 2943 del Codice civile e all'articolo 2945 "per effetto dell'interruzione s'inizia un nuovo periodo di prescrizione".
La decisione ripercorre i principi già affermati dalle sezioni Unite civili:
- in tema di illecito disciplinare degli avvocati, il regime più favorevole di prescrizione introdotto dall'articolo 56 della legge 247/2012, che prevede un termine massimo di prescrizione dell'azione disciplinare di sette anni e sei mesi, non trova applicazione riguardo agli illeciti commessi prima della sua entrata in vigore. Ciò perché le sanzioni disciplinari contenute nel codice deontologico forense hanno natura amministrativa con la conseguenza che non trova applicazione lo jus superveniens più favorevole all'incolpato, se non per le modifiche della fattispecie incriminatrice e della pena, mentre, dall'altro lato, il momento di riferimento per l'individuazione del regime della prescrizione applicabile in sede disciplinare rimane quello della commissione del fatto e non quello dell'incolpazione;
- la pretesa punitiva esercitata dal Consiglio dell'Ordine forense in relazione agli illeciti disciplinari commessi dai propri iscritti ha natura di diritto soggettivo potestativo che, sebbene di natura pubblicistica, resta soggetto a prescrizione, dovendo escludersi che il termine di cui all'articolo 51 del Rdl possa intendersi come un termine di decadenza, insuscettibile di interruzione o di sospensione, specificandosi che la previsione di un termine quinquennale di prescrizione, mentre delimita nel tempo l'inizio dell'azione disciplinare, vale anche ad assicurare il rispetto dell'esigenza che il tempo dell'irrogabilità della sanzione non venga protratto in modo indefinito. Infatti, al procedimento amministrativo di inflizione della sanzione è da ritenere applicabile non già la regola dell'effetto interruttivo permanente della prescrizione ex articolo 2945, secondo comma, del Cc, ma quello dell'interruzione a "effetto istantaneo" previsto dall'articolo 2943, con la conseguente idoneità interruttiva anche dei successivi atti compiuti dal titolare dell'azione disciplinare in pendenza del relativo procedimento.

Infine, conclude la Cassazione affermando che è del tutto corretta la motivazione del Cnf dove applicando la sanzione della censura ha affermato che la disciplina applicabile al caso concreto fosse quella prevista dal vecchio regime - in quanto vigente al momento della contestata violazione - essendo la stessa riferibile a un illecito disciplinare "a consumazione istantanea" e che, successivamente, erano intervenuti diversi atti interruttivi della prescrizione quinquennale (apertura del procedimento, approvazione del capo di incolpazione ed esame dell'incolpato) sino alla decisione di primo grado del 10 dicembre 2018: da quest'ultima e sino all'emanazione della sentenza da parte dello stesso Cnf non era decorso il (nuovo) quinquennio previsto dalla norma precedente.

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