Civile

Avvocati: quella responsabilità nella consulenza stragiudiziale

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di Eugenio Sacchettini

Magari non ci si pensa, ma per un avvocato le responsabilità possono sorgere non soltanto nell'ambito della sua attività usuale, nella difesa in giudizio, ma pure ancor prima d'iniziare la causa, nella scelta se intraprenderla o meno e anche nel consigliare la parte circa l'esperibilità dell'azione.

Si verte nell'ambito dell'attività stragiudiziale, appunto perché l'accesso alla giustizia non è stato ancora iniziato, e quindi sembrerebbe un terreno ancora neutro. Anzi a quello stadio occorre la massima prudenza, bisogna considerare con ponderatezza tutti i pro e i contra sotto ogni profilo circa la convenienza dell'azione, anche perché il desiderio di guadagno può indurre il legale con pochi scrupoli a convincere chi gli si rivolga ad andare in giudizio, e così accettare di patrocinare anche cause perse in partenza.

I maestri d'un tempo ammonivano che l'avvocato in quelle circostanze si trova al pari di un pubblico ministero allorché riceve le notizie di reato: come l'attività di un pubblico ministero si mostra più giudiziosa a seconda del numero dei decreti di archiviazione che richiede, così l'avvocato si mostra più serio in relazione a quante volte dissuade il potenziale cliente dall'agire in giudizio.

L'importanza della questione - Ma occorre in questa prima fase, sia pur sommaria e preliminare, la massima diligenza e competenza nell'indicare al cliente quale si ritenga la via migliore, senza trascurare d'informarlo sulle opportunità che l'ordinamento pone a sostegno della sua posizione, e soprattutto senza far sì che dalla mancata informazione o dalla negligenza nella tempestività del parere possano venire a determinarsi situazioni tali da rendere inesperibili i diritti del cliente, seppure anche potenziale.

È questo il particolare problema di cui si sono occupate, con soluzioni apparentemente opposte, le due contemporanee sentenze nn. 13007 e 13008 del 2016, pronunciate entrambe dalla terza sezione della Cassazione, sia pure in diversa composizione collegiale. E non è un caso che si discuta di decorso di termini, perché è noto che l'attività professionale dell'avvocato, in particolare nella difesa in giudizio, è sempre assai delicata, per cui è difficile che in sede giudiziaria si possa poi rinvenire un suo errore grave, tale da dedurne la sua responsabilità: in generale se ne pone a fondamento l'articolo 2236 del Cc («Responsabilità del prestatore d'opera») a norma del quale se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.
Ma quando si tratta d'inosservanza di termini c'è poco da discutere, come ben sanno gli avvocati che ne son terrorizzati: con i numeri non si discute.

La diligenza del professionista - E allora c'è un'altra regola, ritenuta in generale applicabile in questo come in casi consimili, l'articolo 1176, comma 2, del Cc, a norma del quale nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata; termini di prescrizione e di decadenza - in specie per quanto concerne l'inizio del giudizio e le impugnazioni - costituiscono l'“abc” per un avvocato e quindi scatta l'altro, rigorosissimo metro della colpa lieve o lievissima, dalla quale non si scappa e che non ammette sconti, una volta che si accerti l'avvenuta decorrenza del termine per effetto della negligenza dell'avvocato.

La delicatezza dell'attività stragiudiziale - Ci si trova, nelle ipotesi esaminate dalle sentenze nn. 13007 e 13008 del 2016, in una fase precedente al giudizio, proprio attinente appunto l'opportunità d'intraprenderlo, e quindi nell'ambito dell'attività stragiudiziale.
E, come si evince dalle opposte soluzioni adottate dall'una e dall'altra decisione, costituisce presupposto per la valutazione del comportamento del professionista il rapporto che intrattiene col potenziale cliente, se cioè la sua attività sia conseguente ad uno specifico incarico attribuitogli. Come si vedrà nel commento alla sentenza n. 13008 la questione del conferimento dell'incarico - che ha fornito il fulcro della decisione assolutoria da responsabilità per l'avvocato sulla base dell'accertamento effettuato in sede di merito - in realtà può tuttavia venire a sfumare allorché si dia un'occhiata nell'uso corrente alle pratiche modalità di conferimento degli “incarichi esplorativi”.

Nella vicenda presa in esame dalla sentenza n. 13007, occorre precisare, non si è trattato di attività svolta da un avvocato, ma da un commercialista che non avrebbe segnalato al cliente la possibilità di ricorrere per cassazione avverso una sentenza della commissione tributaria regionale: con detta sentenza è stata ritenuta ipotizzabile la sua responsabilità professionale per negligenza nonostante che, in quanto commercialista, non fosse nemmeno abilitato ad agire in sede di legittimità, benché munito dello ius postulandi dinanzi alla giurisdizione tributaria.
Ma il principio così enunciato non cambierebbe se si fosse invece trattato di un avvocato non cassazionista nella medesima situazione e neppure di un avvocato cassazionista che fosse incorso nella medesima negligenza.
Si tratta pur sempre di attività di natura stragiudiziale e l'emissione di pareri può paradossalmente comportare più rischi sotto il profilo della responsabilità professionale rispetto all'attività svolta nel processo, nella quale ultima ormai «siamo in ballo e bisogna ballare» e la scelta dei mezzi e delle argomentazioni difensive dipende da tanti e tanti aspetti, e rimane riservata esclusivamente all'avvocato.

Assume quindi carattere centrale - seppur possa apparire pedante - il richiamo alla diligenza, valorizzato dalla sentenza 13007/2016, anche in questa fase di “preincarico”, salvo vedere se si tratti davvero d'incarico, come rilevato dalla sentenza 13008/2016.
E ciò non soltanto a scanso di controversie per responsabilità professionale, ma anche sotto il profilo disciplinare tenendo presente quanto disposto dall'articolo 12 del Codice deontologico forense in virtù del quale l'avvocato deve svolgere la propria attività con coscienza e diligenza, assicurando la qualità della prestazione professionale. Dunque, ove richiesto d'intraprendere un'azione giudiziaria l'avvocato sarà libero di rifiutare, come adesso stabilito dall'articolo 11 del Codice deontologico anche senza addurre alcun motivo al suo diniego, ma se prende in esame la questione e rende il parere sull'esperibilità dell'azione, come indicato dalla sentenza 13007/2016, dovrà farlo con la massima cura e diligenza.
E i nodi ovviamente vengono al pettine qualora il parere sia semplicemente orale, come d'uso, anche con riferimento alla sussistenza di un effettivo incarico ad hoc, come emerge dalla sentenza 13008/2016.

I pareri scritti vengono infatti raramente forniti in questo settore, e verosimilmente anche malvolentieri: o si accetta l'incarico di agire in giudizio o si rifiuta nel qual caso, come osserva la sentenza 13008/2016, il mancato cliente potrà ben rivolgersi ad altro legale che accetti d'intraprendere l'azione.

Le osservazioni - A coronamento di queste considerazioni non è azzardato prevedere che anche in quest'ambito vengano a proliferare azioni di responsabilità da parte di persone scontente di quanto suggerito dagli avvocati nel non perseguire un'azione in giudizio (e non solo nell'avere intrapreso una causa che poi è stata persa) anche perché le interpretazioni giurisprudenziali cambiano a ogni piè sospinto e la legislazione attuale può far vedere nero quando è bianco e bianco quando è nero, così sarà quasi sempre possibile dire che qualcun altro ha fatto causa e l'ha vinta nella medesima questione.

Tanto più che vengono ormai a cadere le ultime remore ad agire contro quell'avvocato, che magari non è neanche poi così antipatico, «perché tanto paga l'assicurazione».
Una situazione che si profila cioè assimilabile a quanto da tempo succede comunemente negli Usa, ove non di rado dopo una causa persa ce n'è un'altra contro l'avvocato che l'ha persa.
Difatti è ormai in fase di matura gestazione il decreto ministeriale che intende dare attuazione a quanto già stabilito in tema di assicurazione obbligatoria per tutti i professionisti dall'articolo 5 del Dpr 7 agosto 2012 n. 137 e poi più specificamente per gli avvocati dall'articolo 12 della riforma forense.

Si tratta comunque di una cautela già usata in via generale dalla maggioranza degli avvocati, ma il fatto che la copertura assicurativa sia resa obbligatoria coram populi e da mostrare al cliente offre lo spunto a clienti insoddisfatti dell'operato del legale per tentare di recuperare in un modo o nell'altro quanto pensino di loro spettanza.
E non si tratta di azioni indolori per l'avvocato assicurato: a parte la franchigia sull'ammontare del danno corrisposto dall'impresa assicuratrice e le possibili conseguenze disciplinari ove la negligenza venga accertata, una volta disposta la condanna ben difficilmente l'impresa assicuratrice accetterà di proseguire il rapporto alla scadenza, e il reperimento di altra impresa assicuratrice sarà estremamente arduo e comunque costoso per l'avvocato che sia incappato in questo frangente: pur trattandosi di assicurazione obbligatoria non sussiste per le imprese assicuratrici un obbligo a contrarre.

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