Avvocati, stretta sulla rielezione in Coa - Cdd, apertura sulle preferenze di genere
Con due decisioni depositate oggi (nn. 9755 e 9749) le Sezioni unite chiariscono che il mandato presso il Consiglio dell’ordine si considera per intero anche in caso di dimissioni. Mentre, per ragioni di genere, le preferenze nei Consigli di disciplina posso superare i 2/3 degli eligendi
Con riguardo al divieto di terzo mandato consecutivo previsto per le elezioni dei Consigli degli ordini forensi, la Cassazione (sentenza n. 9755 depositata oggi) chiarisce che si deve tener conto anche della consiliatura non terminata per le dimissioni, motivate da ragioni personali, del consigliere. Così come, seguendo la medesima ratio, se la Consiliatura successiva è durata meno di due anni, il non avervi partecipato non vale come interruzione. Con una diversa decisione (n. 9749), sempre le Sezioni unite, in merito questa volta alla elezione del Consiglio di disciplina, hanno chiarito che il limite dei 2/3 delle preferenze è una regola derogabile ove sussista la necessità di destinare le preferenze ai due generi.
La prima decisione (9755/2024) riguardava il ricorso contro l’elezione di alcuni legali al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma per il quadriennio 2023-2026, in quanto candidati in violazione del divieto del terzo mandato consecutivo. In particolare, secondo i ricorrenti «essendo la durata biennale dei mandati … conseguenza di scelte volontarie […], non possono essere riconosciuti all’interno dello spirito della lettera del[l’] art. 3, comma 4, ove la durata infrabiennale del mandato che consente la ripresentazione al mandato successivo, deve essere tale per motivi strutturali […] o conseguenti a provvedimenti di scioglimento e/o commissariamento dell’istituto consiliare forense”.
Motivo accolto. La decisione ricorda come la Corte costituzionale, e la Cassazione stessa, abbiano affermato che la ratio del divieto di terzo mandato consecutivo è quella di «assicurare la più ampia partecipazione degli iscritti all’esercizio delle funzioni di governo degli Ordini, favorendone l’avvicendamento nell’accesso agli organi di vertice». Ragion per cui, prosegue, «occorre far riferimento alla nozione di mandato in senso oggettivo, senza che possa avere rilievo la circostanza che il consigliere già eletto per il secondo mandato si sia dimesso anticipatamente».
Per la Corte si deve dunque ribadire l’irrilevanza delle dimissioni volontarie presentate dal consigliere, in quanto “non idonee a elidere il fatto che lo stesso abbia ricevuto il mandato per l’intera consiliatura; mandato che va quindi parametrato alla durata (oggettiva) della consiliatura, a prescindere dalla sua minor durata soggettiva, dipesa dalla volontà dell’interessato (senza che rilevino le ragioni sottese alla scelta delle dimissioni)”.
Inoltre, l’irrilevanza di un mandato (oggettivamente) infrabiennale non può operare soltanto nel senso di non doversene tener conto ai fini del conteggio dei mandati consecutivi, “ma deve necessariamente valere anche al fine di escluderne la rilevanza interruttiva”. Infatti, prosegue, “la valutazione (normativa) di inidoneità di un periodo infrabiennale a determinare un qualche condizionamento del corpo elettorale non può che comportare, specularmente, l’affermazione della sua inidoneità a costituire una cesura della possibilità di condizionamento derivante dall’espletamento di precedenti mandati”. Va dunque escluso che la mancata partecipazione a una consiliatura infrabiennale valga a interrompere la consecutività ai fini del rispetto del divieto di terzo mandato consecutivo.
Considerata la novità delle questioni con riguardo “alle dimissioni motivate dall’opzione per un altro incarico” e “in punto di irrilevanza interruttiva della mancata partecipazione ad un mandato infrabiennale”, nonché “in punto di applicazione dei principi espressi da Cass. S.U. n. 8566/2021 alla specifica ipotesi di dimissioni volontarie successive a dichiarazione di ineleggibilità”, le Sezioni unite hanno compensato le spese.
Con la seconda decisione (n. 9749/2024), riguardante, l’elezione dei componenti del Consiglio Distrettuale di Disciplina del distretto della Corte di Appello di Roma del luglio 2022, la Sezioni Unite con riguardo al numero delle preferenze da esprimere, hanno statuito che “il limite dei 2/3 degli eligendi costituisca la regola, che è tuttavia derogabile ove sussista la necessità di destinare le preferenze ai due generi, nel qual caso le stesse non possono comunque superare il totale degli eleggibili dal singolo Consiglio dell’Ordine e devono osservare il limite interno dei due terzi nell’ambito di ogni genere”. E che la rappresentanza di genere va assicurata in ambito distrettuale e non di singolo Ordine circondariale (nel quale potrebbe dunque accadere che le preferenze non siano destinate ai due generi).
Non esiste dunque, prosegue la decisione, una insuperabile incompatibilità fra le disposizioni dell’art. 4 e dell’art. 8 del Regolamento Cnf (1/2014), giacché le stesse possono ben essere lette in continuità, nel senso di prevedere (con l’art. 4) che le preferenze sono limitate «ad un numero pari ai due terzi, arrotondato per difetto all’unità inferiore, degli eligendi» e che, tuttavia, possa «essere espresso un numero maggiore di preferenze esclusivamente ove queste siano destinate ai due generi», con la precisazione che, «in tale ultima ipotesi il numero delle preferenze da esprimere non può essere comunque superiore a quello totale dei Consiglieri distrettuali di disciplina eleggibili dal singolo Consiglio dell’Ordine, fermo restando il limite interno dei due terzi nell’ambito di ogni genere».
Inoltre, la Corte ha chiarito che il termine per impugnare non decorre dalla dichiarazione dei risultati. “In difetto di norme specificamente disciplinanti la decorrenza del termine per l’impugnazione dell’esito del procedimento elettorale del CDD - si legge nella decisione -, il dies a quo va individuato nella proclamazione degli eletti, che costituisce l’atto conclusivo di tale procedimento”. E ciò in applicazione analogica del criterio dettato, per il procedimento di elezione del COA, dall’art. 28, comma 12, l. n. 247/2012 («contro i risultati delle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine ciascun avvocato iscritto nell’albo può proporre reclamo entro 10 giorni dalla proclamazione»), che individua l’atto terminativo nella proclamazione degli eletti, secondo un criterio evidentemente estensibile all’analogo procedimento elettorale che chiama i componenti dei COA del distretto ad eleggere i componenti del CDD”.
Deve perciò escludersi che “la pacifica possibilità di impugnare immediatamente la dichiarazione dei risultati compiuta dal presidente del seggio all’esito dello scrutinio comporti -in difetto di espressa previsione - la decadenza dalla facoltà di denunciare i vizi del procedimento impugnandone l’atto conclusivo, costituito - come detto - dalla distinta e successiva proclamazione degli esiti delle votazioni”.
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di Avv.Adriana Spagnuolo - Associate presso Studio Legale Proietti