Avvocato dipendente fuori dall'albo, anche se part-time
Per la Cassazione a Sezioni Unite, l'avvocato dipendente pubblico part-time va cancellato dall'albo per incompatibilità professionale
L'avvocato dipendente pubblico va cancellato dall'albo per incompatibilità professionale, anche se part-time. Non basta quindi la sospensione dell'attività. Lo ha stabilito la Cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 9545/2021, chiudendo l'annosa vicenda avente per protagonista un avvocato pubblico dipendente in regime di part-time non superiore al 50%, definitivamente cancellato dall'albo professionale.
La vicenda
Ad ordinare la cancellazione del professionista dall'albo degli avvocati per incompatibilità era il COA di Torino già nel 2007. Successivamente la delibera veniva confermata dal Cnf nel 2009, ma l'avvocato adiva la Cassazione, la quale a sezioni unite, nel 2014, rigettava il ricorso.
Successivamente, il Consiglio dell'ordine locale accoglieva la domanda del legale di sospensione volontaria dall'esercizio dell'attività forense, domanda formulata sull'assunto che il giudicato costituito dalla richiamata sentenza del 2014 avesse ad oggetto l'incompatibilità tra il solo esercizio della professione forense e la qualità di pubblico dipendente part-time e sulla esplicitata intenzione di volere rimuovere il presupposto di fatto e di diritto sul quale era fondata la sentenza stessa.
L'anno dopo, il Coa ordinava la cancellazione dall'albo e il professionista faceva ricorso al Cnf, il quale rigettava nuovamente. La questione finiva così ancora in Cassazione.
Sospensione volontaria dalla professione
Nella sua difesa, il professionista sostiene che il provvedimento corretto fosse la sospensione, giacchè l'articolo 18 della legge 247/2012, si riferisce a un'ipotesi di incompatibilità con l'esercizio della professione forense e non con la mera iscrizione all'albo e asserisce che l'istituto della sospensione dall'esercizio della professione di cui all'articolo 20, consentirebbe "di ovviare, sul piano pratico, alle conseguenze dell'incompatibilità".
In altri termini, nella prospettiva del ricorrente, la sospensione volontaria dall'esercizio dell'attività professionale eliminerebbe in radice gli effetti, sul piano concreto, dell'iscrizione all'albo e, in conseguenza, non avrebbe alcun senso procedere alla cancellazione se la stessa non ha alcun effetto aggiuntivo rispetto alla sospensione.
Per gli Ermellini, però, tale tesi è infondata.
Incompatibilità con la professione forense
La legge professionale forense stabilisce, infatti, tra i requisiti richiesti per l'iscrizione l'insussistenza di una delle condizioni di incompatibilità di cui all'articolo 18, disposizione, ricorda il Palazzaccio, che al comma 1, lettera d), prevede in modo espresso ed inequivoco che la professione di avvocato è incompatibile "con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato".
Ora, è vero che l'articolo 20, comma 2, della medesima legge prevede che "l'avvocato iscritto all'albo può sempre chiedere la sospensione dall'esercizio professionale". Tuttavia, è evidente, proseguono i giudici, che tale disposizione incide sull'attività del professionista iscritto che si priva volontariamente di esercitare la professione, ma "non contiene alcun elemento letterale che consenta di ritenere che al professionista, che abbia deciso volontariamente di sospendere l'esercizio professionale, non si applichino le disposizioni che disciplinano la sua iscrizione all'Albo professionale e che la sospensione volontaria eviti la cancellazione dall'Albo ove i requisiti previsti dalla medesima legge più non sussistano ovvero siano in origine mancanti". Ed anzi, la lettura sistematica della norma con le disposizioni precedenti della stessa legge, esclude che la sospensione volontaria possa incidere sulle cause di incompatibilità previste.
Nessuna violazione del principio di uguaglianza
Altrettanto infondata la tesi secondo cui ci sarebbe un contrasto della norma ex articolo 20, comma 2, della legge 247, con il principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 Cost., per una (asserita) irragionevole diversità di trattamento tra l'avvocato che, chiamato a svolgere una delle funzioni previste dell'articoo 20, comma 1 (come presidente della Repubblica, del Senato o della Camera, viceministro, ecc.) è sospeso di diritto dall'esercizio professionale durante il periodo della carica e l'avvocato che, come il ricorrente, non ricopra nessuna di dette cariche ma scelga volontariamente di sospendere l'esercizio dell'attività professionale.
La disposizione contenuta nel citato articolo 20, comma 1, precisano da piazza Cavour rigettando in definitiva il ricorso, "mira, infatti, a rafforzare, attraverso obbligatoria imposizione della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale, l'autonomia, l'indipendenza, la terzietà e la lealtà dell'avvocato iscritto all'Albo nell'assolvimento delle funzioni correlate ai ruoli propri delle figure istituzionali indicate. Essa regola, quindi, fattispecie del tutto incomparabili con quella disciplinata nel comma 2, relativa all'avvocato che, avendo i requisiti per l'iscrizione all'albo, decida volontariamente di sospendere l'esercizio della sua attività professionale".