Società

Azione revocatoria ordinaria e sostituzione soggettiva in caso di fallimento del debitore

Il fallimento, sopravvenuto in pendenza di un'azione revocatoria ordinaria, del debitore e il successivo subentro del curatore comportano il venir meno della legittimazione e dell'interesse ad agire dell'attore originario, con conseguente improcedibilità della domanda dallo stesso proposta

di Rossana Mininno

Il codice civile sancisce - a livello di regola generale - la responsabilità patrimoniale del debitore, il quale «risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri» (articolo 2740, comma 1).

Le limitazioni della responsabilità patrimoniale del debitore sono ammesse solo «nei casi stabiliti dalla legge» (articolo 2740, comma 2).

La regola è stata formulata in maniera ampia, tant'è che non reca alcuna distinzione tra le fonti delle obbligazioni, in base alla natura o alla qualità dei beni oppure tra beni già appartenenti al patrimonio del debitore all'epoca della nascita dell'obbligazione e beni acquisiti al patrimonio successivamente.

L'azione revocatoria costituisce lo strumento - previsto dal codice civile - di conservazione della garanzia patrimoniale, ricorrendo al quale il creditore può domandare - e ottenere in via giudiziale - che «siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni» (articolo 2901, comma 1).

Il requisito oggettivo dell'azione revocatoria è costituito dal pregiudizio arrecato dall'atto di disposizione patrimoniale alle ragioni creditorie.

Le condizioni fissate ex lege legittimanti il creditore ad agire in revocatoria sono la scientia damni (o consilium fraudis) ovvero la conoscenza, da parte del debitore, del pregiudizio che l'atto avrebbe arrecato alle ragioni del creditore oppure, nell'ipotesi di atto anteriore al sorgere del credito, la dolosa preordinazione a pregiudicare il soddisfacimento della pretesa creditoria (animus nocendi).

Per l'ipotesi di atto a titolo oneroso è, altresì, necessaria la partecipatio fraudis ovvero la consapevolezza, da parte del terzo, del pregiudizio recato e, in caso di atto anteriore al sorgere del credito, la partecipazione, da parte del terzo, alla dolosa preordinazione.

La revocatoria non incide sulla validità dell'atto di disposizione, ma lo rende inopponibile al creditore, al quale, stante l'intervenuta neutralizzazione dei relativi effetti dispositivi, è consentito aggredire esecutivamente il bene oggetto dell'atto.

La sentenza che accoglie la domanda ha natura costitutiva di una situazione giuridica nuova (Cass. civ., Sez. U., 23 novembre 2018, n. 30416).

Con l'ordinanza n. 13862 del 6 luglio 2020 i Giudici della Terza Sezione civile della Corte di cassazione sono stati chiamati a pronunciarsi - con riferimento all'ipotesi di fallimento del debitore dichiarato in pendenza dell'azione revocatoria ordinaria - sulla (eventuale) reviviscenza della legittimazione del singolo creditore nel caso in cui il curatore abbia definito la lite in via transattiva a fronte della liquidazione di un importo di denaro.

I Giudici della Terza Sezione hanno chiarito che la regola secondo la quale «l'intervento della curatela nel procedimento di revocazione fa venir meno la legittimazione, e l'interesse ad agire dell'originario creditore» ha una duplice ratio: consentire che «il bene venga acquisito alla soddisfazione di tutti i creditori, e non solo di colui che aveva iniziato la revocazione» e, nel contempo, impedire che «la pronuncia di inefficacia ottenuta eventualmente dal creditore originario pregiudichi la soddisfazione concorsuale degli altri».

La «regola della concorsualità» impone che ogni azione esperita sia finalizzata «a beneficio dell'intero ceto creditorio».

Al detto fine, peraltro, è stata «ammessa la possibilità del curatore di subentrare nell'azione già esercitata dal creditore principale sostituendosi a quest'ultimo, senza imporre al curatore di iniziare un'autonoma domanda di revocazione nell'interesse della procedura (Cass. Sez. Un. n. 29420 del 17 dicembre 2008)».

La sostituzione soggettiva del curatore al creditore comporta, sul piano effettuale, il «far perdere interesse e legittimazione al creditore che aveva iniziato la revocatoria».

La circostanza che il curatore abbia conciliato la causa non assume, a parere dei Supremi Giudici, alcuna rilevanza in quanto, comunque, la transazione ha agevolato tutti i creditori, essendosi la somma di denaro ottenuta in sede transattiva «sostituita alla pronunzia di inefficacia dell'atto di disposizione, sempre nell'interesse di tutti i creditori»: «solo nell'ipotesi in cui venga meno quella ratio, come nel caso di revoca del fallimento, i singoli creditori potranno riassumere personalmente l'azione revocatoria ordinaria avviata dal curatore».

Conclusivamente, i Giudici della Terza Sezione hanno statuito il seguente principio di diritto: «Qualora sia stata proposta un'azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e, in pendenza del relativo giudizio, a seguito del sopravvenuto fallimento di questi, il curatore subentri nell'azione in forza della legittimazione accordatagli dall'art. 66 l.fall., accettando la causa nello stato in cui si trova, la legittimazione e l'interesse ad agire dell'attore originario vengono meno, con conseguente improcedibilità della domanda dallo stesso proposta, salva la dimostrazione dell'inerzia degli organi della procedura in relazione al diritto azionato» (massima rv. 658304 - 01).


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