Civile

Banca responsabile se paga l’assegno con controlli leggeri

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di Antonino Porracciolo

È negligente la banca negoziatrice di un assegno circolare che, nell’adempimento degli obblighi relativi a un rapporto di conto corrente, confermi al cliente la valida emissione del titolo solo in base a una richiesta telefonica alla banca emittente e senza fare altre verifiche idonee a ridurre il rischio di frode. Lo afferma la Corte d’appello di Napoli (presidente Sensale, relatore Marinaro) in una sentenza dello scorso 19 marzo.

Il caso
Questi i fatti. Nel 2006 una Spa aveva presentato per l’incasso, presso la propria banca, due assegni circolari emessi da un istituto di credito campano. La banca, prima di versare l’importo sul conto della Spa, aveva telefonato all’emittente, che aveva garantito la libera negoziabilità dei titoli. Ma dopo alcuni giorni la somma era stata riaddebitata sul conto della Spa, perché i due assegni erano risultati insoluti; al contempo, la banca campana aveva comunicato che i titoli erano stati trafugati nel 2002 e che era stata informata la Procura della Repubblica. La Spa ha citato allora in giudizio l’emittente, chiedendo al tribunale di condannarla al pagamento di 68mila euro, pari alla somma dei due assegni.

La convenuta ha negato di aver ricevuto la telefonata, aggiungendo di aver inserito i numeri dei moduli rubati nell’archivio informatico della Centrale di allarme interbancaria e di aver fatto pubblicare la notizia del furto su un quotidiano nazionale. Ha ottenuto quindi l’autorizzazione alla chiamata in giudizio della banca della Spa, un istituto lombardo, e di Telecom Italia, e ha chiesto che fossero dichiarati responsabili del danno sofferto dalla società.

Il primo grado
Con sentenza del 2011, il Tribunale ha condannato la banca lombarda a pagare, in favore della Spa, l’importo dei due assegni. Contro la decisione, la banca ha presentato appello, sostenendo che solo l’emittente fosse responsabile del danno lamentato dalla società: infatti, non era stato dimostrato che fossero state manomesse le cassette di derivazione esterna delle linee telefoniche a servizio della banca campana, sicché non v’era prova che la richiesta telefonica del “bene emissione” (diretta a ottenere la conferma che gli assegni erano stati validamente emessi) avesse subìto interferenze.

Secondo la banca lombarda, è poi irrilevante il ricorso a pubblicità per dare notizia del furto degli assegni in bianco; e l’addetto alla cassa aveva agito nel rispetto della prassi interbancaria per verificare la regolare emissione degli assegni, avendo comunicato all’altra banca i dati per identificarli (numero, importo, beneficiario e data di emissione).

L’appello
La Corte respinge l’appello. Nel primo grado del giudizio è emerso che il dipendente dell’istituto lombardo si era limitato a chiedere telefonicamente il “bene emissione”. Troppo poco, secondo i giudici di Napoli. L’intermediario bancario, quando dà un’informazione al cliente, non può fornirla inesatta, altrimenti risponde, in base all’articolo 2043 del Codice civile, dei danni ingiustamente causati. Il che si è verificato nel caso in esame: la conferma della valida emissione del titolo era intervenuta a seguito di una telefonata alla banca emittente e senza una successiva richiesta scritta né ulteriori verifiche sull’identità dell’interlocutore, sicché era mancata «ogni cautela necessaria a ridurre il rischio di frode».

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