Penale

Bancarotta, scriminante per l'imprenditore vittima di estorsione mafiosa

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di Patrizia Maciocchi


Nel reato di bancarotta scatta lo stato di necessità a favore dell'imprenditore, vittima di estorsione con metodo mafioso. A differenza dell'usura, che presuppone il sottoporsi al pericolo volontariamente, l'estorsione deve essere considerata dal giudice come causa di giustificazione per gli esborsi non “documentabili”. Diverso il caso dei soci amministratori che pagano alcuni creditori - consapevoli della loro appartenenza alla mafia per timore di ritorsioni violente - a cui si sono comunque rivolti, mettendo a rischio l'impresa. Per loro non c'è stato di necessità. Partendo da questi distinguo la Cassazione, con la sentenza 9395, accoglie il ricorso dell'amministratore di una Srl contro la decisione della Corte d'Appello di confermare la responsabilità per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. La Suprema sgombra prima il campo dall'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, perché l'imputato aveva consegnato al curatore le scritture su supporti informatici, senza che risulti una richiesta di elaborazione al quale l'imputato abbia opposto un rifiuto, circostanza che avrebbe potuto determinare la qualificazione del fatto come bancarotta semplice. Passa anche la tesi della difesa sullo stato di necessità a giustificazione degli esborsi rimasti privi di giustificazione. Per i giudici è, infatti, documentato lo status di persona offesa del ricorrente, che non si è spontaneamente sottoposto ad una situazione di pericolo, ma è stato costretto a pagare il “pizzo” dalla mafia. La Suprema corte annulla dunque con rinvio chiedendo di valutare la scriminante, prevista dall'articolo 54 del Codice penale. I giudici di legittimità precisano, infatti, che “è sufficiente una prospettazione verbale di conseguenze sfavorevoli, caratterizzata, rispetto al contesto in cui si inserisce, da connotati di serietà, gravità e consistenza tali da determinare un'azione imposta dall'esigenza di salvare l'autore dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”.

Corte di cassazione – Sezione V – Sentenza 10 marzo 2020 n.9393

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