Barbera: sulla parità di genere rilettura collettiva della Carta
Gestazione per altri: “sui diritti dei nati ferita ancora aperta nell’ordinamento italiano che spetta poi al Parlamento chiudere”
“Per quanto riguarda la questione femminile posso scatenarmi, nel senso che la Corte costituzionale non solo ha le carte in regola ma è andata avanti”. Così il neo Presidente della Consulta Augusto Barbera rispondendo a una domanda sulla “parità di genere” in Costituzione.
Barbera ha ricordato che “tanto è stato fatto anche con le sentenze”. Per esempio, nel 1962, la Corte ha “aperto l’accesso alla magistratura e agli altri impieghi pubblici al genere femminile”, con la sentenza del 1968 “è intervenuta sul reato di adulterio, che era condannato per le donne ma non per gli uomini”, e poi con la decisione del 1975 “sulla interruzione volontaria di gravidanza ha aperto la strada alla legge 194”. E ancora, più di recente, nel 2022, c’è stata la decisione sul doppio cognome e infine, nel 2023, “quella sulla procreazione medicalmente assistita che ha affermato l’irrevocabilità del consenso dell’uomo dopo la fecondazione”.
Eppure, il traguardo non è stato raggiunto. Il Presidente lo dice esplicitamente scandendo piano le parole per non essere equivocato: “Non è invece ancora stato attuato l’invito della Corte a tenere conto dei diritti del nato anche se frutto di una r elazione penalmente non consentita, mi riferisco ad esempio alla gestazione per altri. Lì c’è un problema aperto, una ferita ancora aperta nell’ordinamento italiano che spetta poi al Parlamento chiudere”. Barbera ha poi rivolto un invito alle “molte donne impazienti” affermando che “nell’auspicare nuovi traguardi non dobbiamo dimenticare quali sono stati i progressi fatti”.
Sollecitato su un passaggio della Costituzione relativo al matrimonio (secondo comma dell’articolo 29) che recita: “Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi” ma che poi aggiunge “con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”, Barbera ha affermato: “La norma è stata sottoposta ad una lettura che è più avanzata, che tiene conto di ciò che è accaduto nella società in questi ultimi decenni”. Ma poi subito sottolinea che la “rilettura di una norma costituzionale” è una questione “delicata” che “va fatta non in maniera sola e isolata” ma appartiene “alla capacità della società, dei giudici, della Corte costituzionale”. Perché “nessun giudice può muoversi da solo neanche la Corte costituzionale e nessuna maggioranza politica può prescindere dai giudici, cioè si tratta di rinnovare il testo costituzionale leggerlo in un “contesto”, per rinnovare l’ordinamento costituzionale nel suo complesso”.
Fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975, infatti, il codice civile (art. 144 cod. civ.) sotto la rubrica “Potestà maritale” stabiliva che «Il marito è il capo della famiglia; la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza”. La Consulta in passato non era intervenuta abrogando la norma proprio per via di quel passaggio che in qualche modo autorizzava dei “limiti” nella parità uomo donna. Il nuovo testo dell’’art. 144 cod. civ., ora prevede che «i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa». Quell’inciso che autorizza dei “limiti” alla parità è però rimasto al suo posto.