Benefici alloggi (in FVG), incostituzionale chiedere documenti aggiuntivi agli stranieri
La Corte costituzionale, sentenza n. 15/2024, ha dichiarati l’illegittimità costituzionale della legge regionale nella parte in cui prevede una documentazione ulteriore per cittadini extra UE soggiornanti di lungo periodo
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 15/2024 depositata ieri, ha dichiarato incostituzionale l’art. 29, comma 1bis L.R. 1/2016 del Friuli-Venezia Giulia nella parte in cui prevede che i cittadini stranieri per beneficiare delle misure di edilizia residenziale pubblica debbano presentare documenti aggiuntivi, come quelli attestanti l’assenza di proprietà di alloggi nei paesi di origine e di provenienza, rispetto ai cittadini italiani.
In uno dei due giudizi all’origine del conflitto, il Tribunale di Udine aveva parzialmente accolto l’azione civile contro la discriminazione per motivi di nazionalità promossa da un cittadino italiano e dalla coniuge albanese, titolare di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, i quali si erano visti rifiutare l’erogazione del contributo per l’acquisto dell’alloggio da destinare a prima casa previsto dalla legislazione regionale, in ragione della mancata produzione della documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel Paese di origine e nel Paese di provenienza.
Il Tribunale aveva così disposto che la domanda dei ricorrenti fosse valutata «come se la documentazione attestante l’impossidenza di altri immobili fosse stata regolarmente prodotta in base agli stessi criteri valevoli per i cittadini comunitari» e, per un altro, ha ordinato alla Regione autonoma, al fine di evitare la ripetizione della discriminazione, di modificare il regolamento regionale. Oggetto del conflitto è precisamente questo secondo versante dell’ordinanza impugnata. La Regione autonoma, infatti, contesta la pretesa del Tribunale di Udine di ordinare alla Regione la modifica dell’art. 12, comma 3-bis, del regolamento regionale n. 0144 del 2016 conforme alla legge regionale.
In analogo giudizio antidiscriminatorio, un altro giudice del medesimo Tribunale (ordinanza n. 97 reg. ord. 2023) ha sollevato questioni di legittimità costituzionale anche dell’art. 29, comma 1, lettera d), della medesima legge regionale, «nella parte in cui tra i requisiti minimi per l’accesso al contributo per il sostegno alle locazioni previsto dall’art. 19 della medesima legge, indica “il non essere proprietari neppure della nuda proprietà di altri alloggi, all’interno del territorio nazionale o all’estero, purché non dichiarati inagibili, con esclusione delle quote di proprietà non riconducibili all’unità, ricevuti per successione ereditaria, della nuda proprietà di alloggi il cui usufrutto è in capo a parenti entro il secondo grado e degli alloggi, o quote degli stessi, assegnati in sede di separazione personale o divorzio al coniuge o convivente.”».
La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1-bis, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 19 febbraio 2016, n. 1 (Riforma organica delle politiche abitative e riordino delle Ater), nella parte in cui stabilisce che l’ivi prevista documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel Paese di origine e nel Paese di provenienza – documentazione richiesta per dimostrare l’impossidenza di altri alloggi, ai sensi dell’art. 29, comma 1, lettera d), della medesima legge regionale – debba essere presentata dai cittadini extra UE soggiornanti di lungo periodo con modalità diverse rispetto a quelle utilizzabili dai cittadini italiani e dell’Unione europea.
Ma ha anche stabilito che non spettava al Tribunale ordinario di Udine, in funzione di giudice del lavoro, ordinare la rimozione dell’art. 12, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia 13 luglio 2016 n. 0144, senza prima aver sollevato questione di legittimità costituzionale sull’art. 29, comma 1-bis, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 1 del 2016; né, conseguentemente, spettava al medesimo Tribunale adottare l’apparato coercitivo sanzionatorio conseguente al suddetto ordine di rimozione. (È stata così annullata l’ordinanza 31 gennaio-1° febbraio 2023 del Tribunale ordinario di Udine, in funzione di giudice del lavoro, resa nel procedimento R.G. 358/2022, limitatamente ai punti 2, 3, 7 e 8 del dispositivo).
La Corte costituzionale, infatti, ha rilevato che nel giudizio antidiscriminatorio l’efficacia diretta del diritto UE è garantita quando, accertato che la condotta contestata trova fondamento in atti normativi incompatibili con la normativa dell’UE, il giudice “dà immediata applicazione a quest’ultima e ordina la cessazione della discriminazione”. Se, invece, egli intenda ordinare la modifica di norme regolamentari discriminatorie, viene in gioco “una logica interna all’ordinamento nazionale che, con una forma rimediale peculiare e aggiuntiva, è funzionale a garantire un’efficace rimozione, anche pro futuro, della discriminazione”, attraverso l’eliminazione della normativa incostituzionale.
Per l’Asgi (Associazioni studi giuridici sull’immigrazione) la decisione pone termine a “una lunga battaglia condotta dalla regione Friuli Venezia Giulia contro i cittadini stranieri nella quale sono state innumerevoli le decisioni favorevoli da parte dei tribunali già prima di questa sentenza per coloro che hanno presentato ricorso contro la richiesta di documenti aggiuntivi per avere contributi regionali per pagare l’affitto”. Secondo l’Asgi sarebbero “almeno una ventina, con rilevanti spese a carico della finanza regionale”. La regione Friuli Venezia Giulia, dunque, era stata obbligata a modificare il regolamento regionale già lo scorso anno, ma aveva comunque impugnato tutte le sentenze in appello e in Corte di Cassazione che oggi “devono considerarsi definitivamente risolti”.
La sentenza, conclude l’Asgi, pur derivando da una causa nella quale si discuteva del solo “contributo affitti”, riguarda una norma che trova applicazione anche all’accesso all’abitazione che quindi già ora deve essere garantito in modo paritario a tutti gli stranieri. Per l’Associazione va sottolineato che “sebbene la decisione della Corte costituzionale sia stata assunta nei confronti di persone straniere titolari di permesso di lungo periodo (cioè il permesso a tempo indeterminato), essa rechi argomentazioni estensibili anche a chi è titolare di altri permessi come quello per famiglia o per lavoro per i quali il diritto dell’Unione europea prevede una disposizione del tutto analoga a quella applicabile ai soggiornanti di lungo periodo”.