Lavoro

Blocco licenziamenti: non si applica al superamento del comporto

Una delle questioni più dibattute, ma oggi risolte, riguarda la possibilità di provvedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto. Rientra nel blocco dei licenziamenti? Si può anticipare che ne è escluso.

di Marco Proietti *

Si è fatto un gran parlare attorno al blocco dei licenziamenti ed alle categorie che, effettivamente, ricadono sotto la disciplina emergenziale: risulta sempre piuttosto difficile districarsi all'interno di un intricato labirinto di decreti, leggi di conversione e circolari interpretative.

Una delle questioni più dibattute, ma oggi risolte, riguarda la possibilità di provvedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto.Rientra nel blocco dei licenziamenti? Si può anticipare che ne è escluso.

LA DISCIPLINA DEL BLOCCO DEI LICENZIAMENTI

Il punto di partenza per questa breve riflessione è il D.L. 41/2021 (c.d. Decreto Sostegni), poi convertito in legge 21.4.2021, n. 69 il quale ha disciplinato il divieto di licenziamento all'articolo 8 (richiamando il decreto di marzo 2020). La norma, infatti, aveva inizialmente previsto un blocco generalizzato per tutti i licenziamenti di tipo economico in connessione alla possibile fruizione di ammortizzatori sociali già previsti nel D.L. 18/2020 convertito in legge 24.4.2020, n. 27; in questo senso, la legge prevede che i datori di lavoro "possono presentare … domanda per i trattamenti di assegno ordinario e di cassa integrazione salariale in deroga" proprio in ragione della riduzione della capacità economica riconducibile all'emergenza epidemiologica.

La norma, all'articolo 8, commi 9 e 10, precisa due diversi termini:

- il primo blocco, avente scadenza al 30 giugno 2021, è applicabile a tutte le aziende a prescindere dal requisito dimensionale;

- il secondo blocco, avente scadenza al 31 ottobre 2021, riguarda unicamente le aziende che hanno possibilità di accedere alla FIS(comma 10).

I successivi provvedimento sono stati il D.L. 73/2021 (c.d. Sostegni bis) poi convertito in legge 23.7.2021, n. 106 e il D.L. 99/2021 (conosciuto come Decreto 30 giugno): quest'ultimo è di particolare interesse poiché ha "sbloccato" i licenziamenti per le aziende fruitrici di CIGO ma lo ha prorogato al 31 ottobre 2021 per il settore tessile, abbigliamento e settore della fabbricazione e lavorazione della pelle.

Non è stata toccata in alcun modo la categoria delle aziende aventi accesso alla FIS per le quali il blocco dei licenziamenti economici resta fissato al 31 ottobre 2021.

LA POSIZIONE DELL'I.N.L.

La questione, ovviamente, ha sollevato più di un'interpretazione e districarsi nel bandolo della matassa è molto articolato.

In questo senso, è dovuto intervenire l'Ispettorato Nazionale del Lavoro che, tramite la nota 16 luglio 2021, prot. 5186, ha definitivamente risolto ogni dubbio circa i settori interessati dallo sblocco. Si legge, così quanto segue:

"[…] Attualmente, la disciplina del c.d. divieto di licenziamento si ricava dalla lettura in chiave sistematica delle disposizioni degli ultimi decreti legge emanati (D.L. 41/20921, D.L. 73/2021 e D.L. 99/2021).
In particolare, l'art. 8, comma 9, del D.L. 41/2021 ha previsto per le aziende individuate al comma 1 (ovvero aziende del settore industriale che hanno presentato "domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale di cui agli articoli 19 e 20 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27") il blocco dei licenziamenti collettivi ex artt. 4, 5 e 24, l. 223/1991 e individuali per g.m.o. ex art. 3, l. 604/1966, fino al 30 giugno 202 1 nonché la sospensione delle procedure di cui all'art. 7 della l. 604/1966.

Il comma 10 del medesimo articolo, relativamente alle imprese di cui ai commi 2 e 8 (ovvero quelle aventi diritto all'assegno ordinario e alla cassa integrazione salariale in deroga di cui agli artt. 19, 21, 22 e 22 quater, D.L. 18/2020, nonché a quelle destinatarie della cassa integrazione operai agricoli), ha precluso, fino al 31 ottobre 2021 la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3, l. 604/1966 inibendo altresì le procedure in corso di cui all'art. 7 della medesima legge.

Il medesimo termine del 31 ottobre è stato fissato per le imprese del settore del turismo, stabilimenti balneari e commercio […].

A decorrere dal 1° luglio 2021, quindi, ai sensi dell'art. 8, comma 1, del D.L. 41/2021 il divieto di licenziamento è venuto meno solo per le aziende che possono fruire della CIGO individuale ex art. 10 del D.lgs. 148/2015 (riferibile sostanzialmente ad industria e manifatturiero) […]".

Quindi l'Ispettorato del lavoro ha categoricamente escluso dal blocco dei licenziamenti, e dalla relativa proroga, alcune aziende ma non ha chiarito in modo definitivo su alcuni licenziamenti, come quello per superamento del comporto.

IL LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL COMPORTO
In questo caso, si deve andare per gradi attraverso l'interpretazione letterale della norma e facendo richiamo ad alcuni principi generali del diritto del lavoro.

Dunque, l'art. 46 del DL 17 marzo 2020, n. 18 (Decreto Cura Italia), testualmente stabilisce: "1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 e' precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non puo' recedere dal contratto per giustificato motivo oggettiv o ai sensi dell'articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604 ."

Il licenziamento per avvenuto superamento del periodo di comporto, dunque, è espressamente escluso tra le fattispecie per le quali la normativa emergenziale ha previsto il divieto di licenziamento.

Infatti, il Decreto Cura Italia ha attuato un chiaro richiamo all'articolo 3 della legge 604/1966 ai sensi del quale:

"Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa".

Dunque il richiamo non è ad un generico ridimensionamento dell'attività imprenditoriale, ma alla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti.

In questo senso, infatti, si può certamente sostenere che il licenziamento per superamento del comporto è assimilabile, quanto alla procedura, al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e non a quello disciplinare: da cui ne discende la mancanza di qualsiasi obbligo di preventiva contestazione.

Tuttavia, è altrettanto consolidato (sia in dottrina che in giurisprudenza) che si tratti di un istituto a parte, ovvero che non rientri, quanto alla disciplina sostanziale, nelle ipotesi richiamate dall'art. 3, l. 604/1966.

Non è un caso se nel licenziamento per superamento del comporto:

1) non sussista alcun obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente il richiamo al predetto superamento;

2) non vi sia un obbligo di repechage;

3) non si applichi né la procedura ex art. 7, l. 300/1970 ma neppure la procedura ex art. 7, l. 604/1966 per gli assunti prima del 7 marzo 2015.

Anche la giurisprudenza di legittimità è conforme, e si ritiene da più parti che una volta trascorso il comporto, ciò rappresenti "…condizione sufficiente a legittimare il recesso e, pertanto, non è necessaria, nel caso, la prova del giustificato motivo oggettivo, né della impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, né quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse" (così anche in Cass. 7.12.2018, n. 31763).

Il periodo di comporto è stato inoltre efficacemente definito "…un'astratta predeterminazione del punto di equilibrio fra l'interesse del lavoratore a disporre d'un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia o infortunio e quello del datore di lavoro di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che tali assenze cagionano all'organizzazione aziendale" (così in Cass. SS. U.. 22.5.2018, n. 12568).

IN CONCLUSIONE – IL LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL COMPORTO E' LEGITTIMO POICHE' NON RICADE NEL BLOCCO

Alla luce di queste premesse, non può quindi ritenersi che la previsione di cui all'art. 2110 c.c. sia di per sé sovrapponibile o riconducibile ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, quantomeno nell'accezione di cui all'art. 3 l. 604/1966.

Né, d'altro canto, e pur prescindendo dalla diversità ontologica delle due tipologie di licenziamento, si ritiene che in assenza di un richiamo specifico all'art. 2110 c.c. sia possibile interpretare estensivamente l'art. 46 DL 18/2020 fino a ricomprendevi tale fattispecie: senza scomodare i profili di costituzionalità evidenziati da parte della dottrina, occorre infatti considerare la peculiarità della norma che porta a ritenere debba trovare applicazione nei limiti di quanto espressamente previsto, senza possibilità di estensione a fattispecie non menzionate (è da reputarsi volutamente) dal legislatore.

Infine, occorre considerare la ratio del divieto di licenziamento introdotto dal decreto Cura Italia, e cioè quella di mantenere i livelli occupazionali in presenza di una situazione di crisi eccezionale, causata da fattori esogeni alle normali dinamiche economico-finanziarie e del mercato del lavoro.

Tale ratio mal si attaglia all'ipotesi del superamento del comporto, che è circostanza diversa, che potrebbe verificarsi anche prescindendo dall'epidemia di Covid-19: a tal proposito, si ricorda inoltre che ai sensi dell'art. 26, comma 1, del Decreto "Cura Italia", il periodo di assenza trascorso in quarantena domiciliare con sorveglianza attiva per Covid-19 non deve essere computato ai fini della maturazione del periodo di comporto.

L'unico caso in cui il superamento del periodo di comporto non legittimerebbe il licenziamento è quando la malattia derivi direttamente dall'infezione di Coronavirus.

* Avv. Marco Proietti (Giuslavorista)


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