Civile

Bonus bebè senza requisito del lungo soggiorno

Cade la condizione imposta anche per avere l’assegno di maternità

di Patrizia Maciocchi

È incostituzionale il requisito del permesso di lungo soggiorno chiesto agli stranieri extracomunitari per accedere al bonus bebè e all'assegno di maternità. La Corte Costituzionale anticipa, con un comunicato stampa , la decisione con la quale passa un colpo di spugna sulla condizione del lungo soggiorno, prevista dalla legge 190/2014 e dal Dlgs 151/2001 , per ottenere il bonus e il sostegno al reddito. Misure per le famiglie che, da marzo 2022, saranno assorbite dall'assegno unico universale.

La Consulta ha considerato lo status richiesto dalle disposizioni, finite nel mirino del giudice del rinvio, in contrasto con gli articoli 3 e 31 della Costituzione e con l'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, sul diritto d'accesso alle prestazioni sociali. A cadere sono le norme che escludono dagli assegni i cittadini di paesi terzi ammessi a fini lavorativi e quelli ammessi per ragioni diverse, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno di durata superiore a sei mesi.

A sollevare la questione era stata la Suprema corte che considerava la legge 190/2014 e il Dlgs 151/2001 in contrasto con la Carta relativamente allo status di soggiornanti di lungo periodo. Prima di decidere i giudici delle leggi hanno coinvolto nel giudizio la Corte di giustizia dell'Unione europea, ritenendo che il divieto di discriminazioni arbitrarie e la tutela della maternità e dell'infanzia, garantiti dalla Costituzione, debbano essere interpretati alla luce delle indicazioni vincolanti fornite dal diritto dell'Unione. La Consulta ha chiesto ai giudici di Lussemburgo di precisare la portata del diritto di accesso alle prestazioni sociali, riconosciuto dall'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, e del diritto alla parità di trattamento nel settore della sicurezza sociale concesso dalla direttiva 2011/98 ai lavoratori di paesi terzi.

La decisione della Consulta è in linea con il verdetto della Grande sezione (Causa C-350/2020) secondo la quale entrambi gli assegni rientrano nei settori della sicurezza sociale per i quali i cittadini di paesi terzi di beneficiano, in base alla direttiva, del diritto alla parità di trattamento. La Corte Ue aveva ricordato anche che l'Italia non si è avvalsa della facoltà offerta dalla direttiva agli Stati membri di limitare la parità di trattamento. Per questo le norme italiane sottoposte all'attenzione della Corte Ue sono state dichiarate non conformi al diritto dell'Unione.

Ieri la Corte costituzionale ha affermato che le disposizioni censurate sono in contrasto con gli articoli 3 e 31 della Costituzione e con l'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.

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