Buona fede, conservazione e rinegoziazione del contratto: principi di solidarietà di rango costituzionale da tutelarsi con l'esecuzione in forma specifica?
La Suprema Corte ribadisce che correttezza e buona fede, sotto i vari aspetti dell'interpretazione, integrazione ed esecuzione del contratto (artt. 1366, 1374 e 1375 c.c.), costituiscono un principio di ordine pubblico portante del nostro ordinamento, e comportano "un dovere inderogabile di solidarietà" di rango costituzionale (art. 2)
Nel corso degli ultimi mesi abbiamo ripetutamente e urgentemente affrontato i temi connessi all'impatto sui contratti in essere di eventi causati dalla pandemia e dei possibili rimedi di natura legale e convenzionale.
Varie sono state le soluzioni accomunate, nella prassi, dall'esigenza di individuare nell'immediato vie praticabili e ragionevoli (a volte anche a prescindere dal preciso dettato della norma o della clausola) e spesso basate sull'esigenza di mantenere in vita il contratto pur rivedendone alcuni termini.
Ulteriori spunti di riflessione in merito alla sussistenza o meno di un obbligo di rinegoziazione del contratto, al fine di ripristinarne l'equilibrio contrattuale, sono stati offerti anche dalla recente relazione tematica n. 56 della Corte di Cassazione pubblicata lo scorso 8 luglio.
La rinegoziazione come rimedio allo squilibrio
La Suprema Corte ribadisce che correttezza e buona fede, sotto i vari aspetti dell'interpretazione, integrazione ed esecuzione del contratto (artt. 1366, 1374 e 1375 c.c.), costituiscono un principio di ordine pubblico portante del nostro ordinamento, e comportano "un dovere inderogabile di solidarietà" di rango costituzionale (art. 2).
Su tali principi la Corte fonda l'obbligo delle parti di rinegoziare quei termini contrattuali affetti da eventi sopravvenuti che hanno alterato il rapporto economico sottostante. E tale rimedio si pone come una terza via rispetto ai rimedi codicistici della risoluzione e del risarcimento del danno che farebbero morire il rapporto.
La rinegoziazione costituisce quindi un vero e proprio obbligo a cui le parti non possono sottrarsi, salvo non lo abbiano espressamente escluso (aspetto da tener presente in fase iniziale di redazione del contratto a seconda delle vie che si vogliono lasciare aperte in relazione ad eventuali futuri sviluppi del rapporto).
Quali obblighi per le parti?
L'obbligo di rinegoziare si traduce sostanzialmente in un impegno a porre in essere tutti quegli atti che, in relazione alle circostanze, possono concretamente consentire alle parti di accordarsi sulle condizioni dell'adeguamento del contratto, alla luce degli eventi sopravvenuti; ed in particolare, accettare e condurre la rinegoziazione (che plausibilmente sarà richiesta dalla parte svantaggiata) in modo costruttivo.
Per la parte non svantaggiata possiamo ipotizzare che, se pur non c'è un obbligo di avviare le trattative, in ogni caso non potrà sottrarsi o limitarsi ad un atteggiamento passivo nel caso di richiesta della controparte, e dovrà anche provare ad elaborare soluzioni costruttive volte a riequilibrare il rapporto. Resta inteso che tale obbligo non si spinge fino a dover accettare le modifiche proposte dalla controparte e/o sacrificare in modo rilevante il proprio interesse personale o economico.
La condotta in concreto adottata dalle parti, che andrà a sua volta valutata secondo buona fede, assume quindi un valore centrale ai fini di valutarne l'adempimento.
E se non adempiono?
La relazione affronta anche un altro aspetto su cui ci si è interrogati in questi mesi, che è quello di quali siano le eventuali sanzioni nel caso in cui una parte non adempia all'obbligo di rinegoziare. Oltre al risarcimento del danno, viene considerata una soluzione (dibattuta) secondo cui la parte che per inadempimento dell'altra non ottiene le modifiche al contratto può chiedere al giudice che le costituisca con sua sentenza ai sensi dell'art. 2932 c.c.
Ciò che lascia perplessi è il fatto che tale articolo viene invocato di solito per riprodurre tramite sentenza gli effetti di un contratto i cui contenuti sono già determinati dalle parti; nel caso, invece, della rinegoziazione (soprattutto perché non è andata a buon fine) non è detto che il giudice si trovi nella posizione di potersi sostituire alla volontà delle parti, determinando nuovi termini e condizioni del contratto per riportarlo all'originario equilibrio secondo equità e ragionevolezza.
Un eventuale spazio per il ricorso all'art. 2932 c.c. potrebbe esserci solo nel caso in cui già nel contratto originario si possano rinvenire i criteri attraverso cui le parti hanno inteso ripartire i rischi futuri e, più plausibilmente, ci siano state delle trattative in cui la sostanza delle modifiche sia stata già condivisa, salvo eventuali aspetti secondari che potranno essere sviluppati o integrati dal giudice. In assenza di questi presupposti non sembra una via facilmente percorribile.
La relazione tematica (di valenza dottrinale) è comunque utile per valutare quale potrebbe essere l'orientamento della Suprema Corte nei contenziosi che dovessero arrivare alla sua attenzione in futuro.
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*Associata, CBA Studio legale e tributario