Penale

Caccia in zona vietata: per il reato basta la consapevolezza del cacciatore

La Cassazione ricorda che i divieti di esercizio venatorio e di ingresso con armi in aree protette sono efficaci ove venga dimostrato che il trasgressore aveva la consapevolezza degli stessi

immagine non disponibile

di Marina Crisafi



Caccia in zona vietata? Basta che il cacciatore sia consapevole del divieto ai fini del reato. È quanto ha confermato la terza sezione penale della Cassazione (sentenza n. 33638/2022) confermando la condanna per il reato di esercizio abusivo dell'attività venatoria in riserva naturale a carico di due cacciatori dichiarati comunque non punibili ex art. 131-bis c.p.

Il ricorso
Entrambi ricorrono al Palazzaccio deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta configurabilità del reato.
A dire della difesa infatti, il tribunale aveva violato le disposizioni della legge regionale siciliana in forza delle quali, in assenza di tabellazione, l'area non poteva dirsi sottratta all'esercizio venatorio.
Al riguardo, il difensore richiama un precedente giurisprudenziale relativo a caso analogo, in cui era stata evidenziata l'insufficienza della emanazione del decreto regionale istitutivo di una riserva naturale o di un'oasi di protezione, essendo necessaria anche la delimitazione della zona con le previste tabellazioni, che rendano visibili i confini dell'area interessata.
La mancanza di tabellazione, inoltre, evidenzia il difensore, non poteva dirsi surrogata, come ritenuto dal tribunale, dalla presenza di cartelli risalenti a oltre un ventennio prima e relativi a una non più esistente oasi. Per cui ribadisce la necessità della tabellazione per la configurabilità del reato.

La decisione
Per gli Ermellini, tuttavia, i ricorsi sono infondati.
Dando seguito alla più recente giurisprudenza in materia, infatti, il collegio ribadisce che "i divieti di esercizio venatorio e di ingresso con armi in un'area protetta sita all'interno di un parco regionale sono efficaci ed opponibili ai privati a condizione che l'area sia perimetrata da apposita tabellazione che ne renda visibili i confini o che comunque, ove risulti mancante o incerta la tabellazione, venga dimostrato da parte dell'accusa che il trasgressore avesse la consapevolezza del divieto all'interno dell'area, non potendo la stessa essere presunta" (cfr. Cass. n. 35195/2017; n. 49024/2019).
Per cui, il tribunale, secondo piazza Cavour, ha fatto buon governo dei detti principi valorizzando l'atteggiamento dei ricorrenti sorpresi "in evidente atteggiamento di caccia", la conoscenza in capo agli stessi del divieto venatorio, attesa la presenza di vari cartelli in zona, nonché il tentativo di nascondere al controllo una carabina pronta all'uso.

In altre parole, hanno concluso dalla S.C. rigettando i ricorsi, le concrete risultanze acquisite hanno consentito al tribunale, con argomentazioni non censurabili, di ritenere provata la sussistenza del reato anche quanto all'elemento soggettivo, e di ritenere quindi non decisivo, il fatto che la c.d. "tabellazione" fosse stata realizzata solo in epoca successiva.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©