Civile

Calcio, la plusvalenza nella vendita del giocatore sconta l’Irap

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 5068 depositata oggi, respingendo il ricorso dell’Udinese Calcio contro il Fisco

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di Francesco Machina Grifeo

La plusvalenza derivante dalla vendita di un calciatore ad un altro club è soggetta all’Irap. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 5068 depositata oggi, respingendo il ricorso dell’Udinese Calcio S.p.a. contro la decisione della Ctr di Udine che, nel 2014, aveva bocciato la sua istanza di rimborso per l’Irap corrisposta sulle “componenti positive straordinarie” dal luglio 2005 al giugno 2008 (circa 30mila euro).

La Sezione tributaria affermando un principio di diritto ha infatti chiarito che “il trasferimento di un atleta professionista da una società sportiva ad un’altra, laddove disposto dietro corrispettivo prima della scadenza naturale del rapporto contrattuale in corso, è riconducibile allo schema della cessione del contratto e pertanto, dal punto di vista fiscale rappresenta un’operazione assimilabile alla cessione di un bene immateriale, suscettibile di generare una plusvalenza e, dunque, rilevante ai fini Irap”.

La Cassazione ricorda che con la legge 91/1981 è stato abolito il c.d. “vincolo sportivo”, che si configurava quale diritto esclusivo all’utilizzo dell’atleta, alienabile a terzi, distinto e separato rispetto al rapporto di lavoro formalizzato con l’ingaggio. Con l’emanazione della legge 596/1996, n. 586, che ha recepito in Italia gli effetti della famosa sentenza Bosman (Cgue, causa C-415/93), i club di appartenenza dei calciatori professionisti giunti alla scadenza del contratto non avevano più diritto a percepire somme da parte della società calcistica che procedeva ad ingaggiare l’atleta.

Nel caso invece di cessioni di calciatori nel corso del rapporto (e quindi prima della scadenza del contratto), prosegue la decisione, viene seguita la seguente procedura:

a) calciatore, società di provenienza e società di destinazione devono redigere per iscritto, a pena di nullità, un accordo di cessione di contratto, denominato “variazione di tesseramento per calciatori professionisti”;

b) società di provenienza e società di destinazione redigono e allegano un documento in bollo, nel quale evidenziano importo e modalità del prezzo di cessione dovuto dalla secondo alla prima;

c) società di destinazione e calciatore redigono, infine, un altro modulo federale, con il quale concordano la misura del compenso al calciatore, quello da questo dovuto al suo procuratore, la scadenza del rapporto contrattuale, ed altre clausole accessorie.

Si tratta dunque di una operazione economica rientrante nello schema della cessione del contratto, in quanto la società di provenienza cede alla nuova società, con il consenso del giocatore, la propria posizione contrattuale (e, in particolare, il diritto alle prestazioni sportive dell’atleta), secondo lo schema tipico di cui all’art. 1406 cod. civ.

Non è dunque condivisibile per la Cassazione la tesi dell’Udinese secondo la quale l’oggetto della cessione è il diritto di risoluzione anticipata del contratto, e l’operazione di trasferimento sarebbe composta da atti distinti, e cioè:

1) l’accordo per la risoluzione del contratto tra società e il calciatore;

2) l’accordo tra le due società per il trasferimento dell’atleta; 3) l’accordo tra l’atleta e la nuova società.

In realtà, spiega la Corte, “oggetto della cessione è il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta, che è senz’altro un bene da inquadrarsi tra i beni immateriali strumentali ammortizzabili (ai sensi del Tuir), suscettibili, come tali, di produrre plusvalenze o minusvalenze, rilevanti ai fini Ires ed Irap”. “Non è privo di rilievo - conclude la Corte - il fatto che il diritto all’utilizzo esclusivo delle prestazioni di un atleta sia un bene dotato di una autonoma utilità economica, come tale suscettibile di negoziazione diretta tra società e qualificabile come bene immateriale strumentale”.

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