Cannabis, la coltivazione domestica di poche piante non è reato se non c'è rischio per la salute pubblica
I mezzi rudimentali che depongono per un uso limitato a quello personale rilevano ai fini dell'inoffensività della condotta
In caso di coltivazioni domestiche di poche piante di cannabis la rilevanza penale della condotta va ancorata all'accertato rischio per la salute pubblica e alla contribuzione al mercato illegale degli stupefacenti. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 20238/2022, ribadisce così l'operatività dell'orientamento nomofilattico espresso dalle sezioni Unite penali all'inizio del 2020. Di conseguenza viene riaffermato come superato il precedente orientamento che individuava la rilevanza penale delle coltivazioni domestiche nell'assenza di autorizzazione del coltivatore. E a prescindere dal grado di maturazione e del relativo principio attivo estraibile dalle piante rinvenute. Tale orientamento è stato ripreso una sola volta dopo l'intervento delle sezioni Unite e la Corte ne conferma l'avvenuto superamento.
La Cassazione riafferma, quindi, che anche se le piante domestiche hanno ragiunto il grado di maturazione che supera la soglia minima di capacità drogante va accertato che vi sia un concreto rischio di immissione sul mercato illegale della droga con conseguente rischio per la salute pubblica. Ma una volta esclusa la finalità di cessione a terzi del poco principio attivo ricavabile da una modesta e rudimentale coltivazione domestica realizzata da chi non vi è autorizzato, non resta che riconoscere l'irrilevanza penale della condotta destinata all'uso personale. Uso personale che, per inciso, la Cassazione ritiene favorevole al decremento delle contrattazioni sul mercato illegale della droga. Escludendo quindi che sia ravvisabile l'offensività della coltivazione domestica per uso personale per assenza di rischi per la salute pubblica.