Amministrativo

Case di cura incompatibili con la gestione di farmacie

La gestione di una farmacia non può essere affidata a una società a sua volta partecipata da una società di capitale di medici. Lo sottolinea l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 5/2022, relativa a una vicenda svoltasi nelle Marche

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di Guglielmo Saporito

La gestione di una farmacia non può essere affidata a una società a sua volta partecipata da una società di capitale di medici. Lo sottolinea l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 5/2022, relativa ad una vicenda svoltasi nelle Marche.

Un Comune ha deciso, nel 2018, di cedere la titolarità di una farmacia mediante pubblico incanto al miglior offerente: nella gara, il corrispettivo migliore (1.220.000 euro) è stato offerto da una società che è risultata a sua volta controllata al 100% da un’altra società che gestiva case di cura e che quindi svolgeva attività medica.

Le due società condividevano anche la medesima sede legale e una stessa persona rivestiva la carica di presidente del consiglio di amministrazione della casa di cura e di amministratore unico della società che avrebbe gestito la farmacia. La cessione è stata annullata sottolineando che la nozione di «esercizio della professione medica» (incompatibile con la gestione della farmacia) deve prevenire qualunque potenziale conflitto di interessi derivante dalla commistione tra questa attività e la vendita dei farmaci, a tutela della salute.

Non si può quindi cedere una farmacia a una società a sua volta partecipata da altra società di capitali che gestisca una casa di cura. Ciò tanto più qualora, per le caratteristiche quantitative e qualitative di detta partecipazione sociale, siano riscontrabili i presupposti di un controllo societario secondo il codice civile, controllo sul quale poter fondare la presunzione di unicità di direzione e coordinamento.

La farmacia è un servizio pubblico in concessione (Corte costituzionale 150/2011), disciplinata, vigilata e soggetta a programmazione a partire dalla legge 468/1913: in precedenza, nell’800, operava una sostanziale libertà nell’apertura degli esercizi. Il farmacista, quale professionista protetto e persona fisica titolare di un’autorizzazione amministrativa personale e non cedibile, fin dalla 1888 è soggetto a un divieto di esercitare in «altri rami dell’arte salutare». A mano a mano, poi, la professione è diventata ibrida con aspetti imprenditoriali, e il farmacista è da un lato rimasto professionista, tramutandosi in concessionario di pubblico servizio e imprenditore soggetto a fallimento (Cassazione 11292/2021). Poi, ai farmacisti persone fisiche si sono affiancate società di persone e cooperative con soci farmacisti iscritti all’Albo e idonei in un concorso a sedi farmaceutiche. Dal 2017 (legge 124) vi è stata un’apertura alle società di capitali anche per le farmacie private, abolendo l’obbligo che i soci delle società che gestiscono farmacie siano a loro volta farmacisti.

Queste modifiche nell’organizzazione imprenditoriale sono state comunque affiancate da costanti incompatibilità, sia nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, sia con la professione medica. A loro volta poi i medici hanno visto evolversi la loro professione che, superando il divieto di società professionali (1939) ha visto figure nuove nei «contratti di spedalità» che comprendono l’effettuazione di cure mediche da parte della struttura sanitaria (Cassazione 28987/2019).

Emergono così rapporti contrattuali e collegamenti tra professionista medico e organizzazioni aziendali, che giustificano l’applicazione di regole complesse quali quella sulla responsabilità sanitaria. L’insieme di queste circostanze fanno ritenere che anche una persona giuridica (sul caso esaminato, una clinica privata), possa considerarsi esercitare, nei confronti dei propri assistiti, la professione medica ai fini della previsione delle incompatibilità nel servizio farmaceutico. Su queste premesse il Consiglio di Stato ha quindi annullato il contratto per incompatibilità dell’acquirente, ritenendo insuperabile la commistione di interessi tra medici che prescrivono medicine e farmacisti interessati alla vendita, in un’ottica di tutela del diritto alla salute di rango costituzionale.

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