Caso Vannini (bis): escluso il concorso anomalo dei familiari
Depositate, lo scorso 19 luglio, le motivazioni della sentenza bis n. 27905/2021 della Quinta sezione penale della Cassazione che ha rigettato i ricorsi degli imputati
Caso Vannini. Depositate, lo scorso 19 luglio, le motivazioni della sentenza bis n. 27905/2021 della Quinta sezione penale della Cassazione che ha rigettato i ricorsi degli imputati avverso la pronuncia della Corte d’assise d’appello di Roma che, dopo il precedente annullamento con rinvio della Suprema Corte, aveva qualificato la condotta contestata all’imputato Antonio Ciontoli in termini di omicidio volontario nella forma del dolo eventuale e aveva riconosciuto la responsabilità degli altri imputati (Federico Ciontoli, Martina Ciontoli e Maria Pezzillo) nelle forme dell’articolo 116 del Cpp. Quest’ultimo assunto è stato considerato erroneo, oggi, dalla Suprema corte che, in oltre sessanta pagine di motivazione, ha affrontato istituti penalistici di assoluto rilievo: dal tema della posizione di garanzia da assunzione volontaria di obblighi di protezione, a quello del concorso anomalo, passando per il dolo eventuale ed i suoi indici indiziari.
Neminem laedere ed assunzione volontaria della posizione di “protezione”
Uno dei principi fissati dalla Suprema corte nella precedente sentenza rescindente (Cassazione, Sezione I penale, n. 9049/2020 ) era la conferma della qualificazione del fatto in termini di concorso in omicidio mediante omissione, mentre era stato mandato al giudice del rinvio il compito di verificare se gli imputati agirono con dolo o con colpa e, dunque, se la norma di parte generale dovesse essere riferita all’articolo 575 del Cp (sotto il profilo del dolo eventuale, come in effetti poi ritenuto dalla Corte d’assise d’appello di Roma, con decisione ormai irrevocabile) o all’articolo 589 del Cp (come era stato ritenuto nella sentenza di primo grado).
In ragione degli specifici rilievi (ri)formulati sul punto dai ricorrenti in sede di legittimità, uno dei temi centrali della sentenza in commento – ritenuto “focale” tanto con riferimento alla responsabilità penale nel reato omissivo improprio monosoggettivo, quanto in relazione al concorso omissivo nel reato commissivo ovvero nell’ipotesi in cui l’evento, che si ha l’obbligo di impedire, coincide con la commissione di un reato da parte di altri – è quello della configurabilità di una posizione di garanzia ex articolo 40 capoverso del Cp e, più in particolare, di una posizione definita di “protezione” ravvisata, nella vicenda al vaglio, in capo a tutti gli imputati presenti sul luogo del delitto in forza di una assunzione de facto delle cure del ragazzo ferito.
Come ricordano oggi gli “ermellini” la responsabilità ex articolo 40, comma 2, del Cp presuppone la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice violata, dalla quale deriva l’obbligo di attivarsi per la salvaguardia di quel bene; obbligo che si attualizza in ragione del perfezionarsi della cosiddetta situazione tipica. «In presenza di tali condizioni, la semplice inerzia assume significato di violazione dell’obbligo giuridico (di attivarsi per impedire l’evento) e l’esistenza di una relazione causale tra omissione ed evento consente di ascrivere il reato secondo la previsione dell’articolo 40, comma 2, del Cp».
Nel caso di specie, l’obbligo giuridico di impedire l’evento (morte) si fonda, in nome del principio generalissimo del nemimen laedere e degli obblighi solidaristici di garanzia (articolo 2 della Costituzione), sull’assunzione volontaria ed unilaterale dei compiti di tutela, al di fuori di un preesistente obbligo giuridico (vedi sezione V penale, n. 10972/2020, non massimata).
Nel solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale volto a riconoscere la validità a tale teoria (secondo un approccio contenutistico-funzionale) anche quando nessuna norma o contratto preveda tale situazione, si dà rilievo all’assunzione di fatto dell’onere della presa in carico del bene che ne accresce la possibilità di salvezza, quando la condotta dell’agente-garante determini o accentui l’esposizione a rischio o impedisca l’attivarsi di alternative istanze di protezione (vedi già Cassazione, sezione IV, n. 13848/2020, Ced 279137; Id., n. 39261/2019, Ced 277193; Id., n. 12781/2000, Rv. 217904).
Già la precedente sentenza di legittimità aveva precisato – con principi di diritto vincolanti ex articolo 627 del Cpp – che la condotta omissiva fu tenuta da tutti gli imputati nel segmento successivo all’esplosione di un colpo di pistola e tutti gli imputati intervennero, con le loro condotte sostanzialmente omissive, dopo che il ferimento di Marco Vannini si era già verificato, incidendo sull’aggravamento delle sue condizioni e, così, violando un obbligo di intervento qualitativamente diverso dal mero obbligo di soccorso (secondo il paradigma di cui all’articolo 593 del Cp) ed espressivo di una vera e propria posizione di garanzia.
In questo senso, la condotta in contestazione non è diversa dai casi dei vicini di casa che, in assenza dei genitori, si prendono cura del bambino o dei volontari di pronto soccorso che, avvertiti, soccorrono il ferito in stato d’incoscienza. Si tratta di un’obbligazione giuridica connessa all’assunzione volontaria del ruolo di garante e del connesso dovere di protezione che scattò in favore del Vannini, non appena questi rimase ferito e ben prima che l’evento morte ebbe a verificarsi. Come si legge nella sentenza rescindente, il dovere del neminem laedere si concretizzò in tal modo, in ragione delle peculiarità del caso, ossia di un ferimento verificatosi quando la vittima era ospite della famiglia della giovane fidanzata e causato dalla “precedente attività pericolosa” (id est: il maneggio “per scherzo” dell’arma da parte del Ciontoli). Di tale «dovere gli imputati si fecero carico assumendo interamente, in luogo del titolare del bene esposto a pericolo, la gestione del pericolo che si prospettava».
Tale assunto – rimarcano oggi i Supremi giudici – accede con evidenza alla teoria contenutistico-funzionale sostenuta dalla giurisprudenza maggioritaria, ben potendosi individuare nell’ospitalità offerta al Vannini, nell’abitazione di cui avevano disponibilità gli imputati, l’assunzione di una posizione speciale di garanzia da parte dei Ciontoli, non altrimenti surrogabile con l’intervento di estranei, che non avrebbero potuto accedere all’abitazione stessa senza il loro consenso.
Insomma, per la tutela della vita della vittima – cadenza la sentenza annotata – non poteva prescindersi dalla fattiva e tempestiva attivazione degli imputati, i soli ritenuti in grado di rendersi conto della gravità della situazione di pericolo, di allertare i soccorsi e di consentirne l’accesso all’abitazione, fornendo ai sanitari informazioni corrette e fondamentali per la cura
Esclusa l’indeterminatezza dell’articolo 40, comma 2, del Cp
La Suprema corte ha altresì escluso le critiche di tenuta costituzionale della norma di cui all’articolo 40, comma 2, del Cp che alcune difese avevano sollevato. La disposizione – cadenza la Corte regolatrice – non pone problemi di indeterminatezza descrittiva, una volta che si riconosca che il fondamento della responsabilità omissiva si identifica nella necessità, riconosciuta dall’ordinamento (di qui la giuridicità dell’obbligo di garanzia), di assicurare ad alcuni beni una tutela rafforzata; ciò accade proprio in dipendenza dell’incapacità del titolare del bene leso di proteggerlo, individuando una “speciale” posizione di garanzia in capo a determinati soggetti, assuntori del ruolo di garante nei confronti del suddetto titolare.
La Cassazione non ha ravvisato alcuna estensione analogica ed in malam partem dell’obbligo di protezione: anche il rapporto di ospitalità – asseritamente irrilevante, per le difese, perché fondato sulla “mera cortesia” – deve ritenersi rilevante come fonte di affidamenti protettivi-individualizzanti, perché lo spettro dei destinatari dell’obbligo di soccorso resta oggettivamente delimitato proprio dalla condizione di presenza nella stessa abitazione. Tanto più che nel nostro ordinamento si rinviene la particolare considerazione delle relazioni di ospitalità agli effetti aggravanti (articolo 61, n. 11, Cp).
Il dictum: l’elemento soggettivo dell’imputato principale
Passando all’elemento soggettivo, la sentenza in esame – per quanto riguarda la posizione dell’imputato principale (Antonio Ciontoli) – ha ritenuto immune da vizi la gravata decisione della Corte territoriale, che, attenendosi ai principi di diritto enunciati nella sentenza rescindente, aveva ricostruito il nesso psichico in termini di dolo eventuale, con motivazione ritenuta oggi coerente ed esente da errori logico-giuridici anche rispetto a tutta la serie di indicatori/indizi in grado di catturare le esternazioni della voluntas umana: non solo quelli individuati dalla giurisprudenza massimamente nomofilattica (Cassazione, sezioni Unite penali, n. 38343/2014, Ced 261105), ma anche altri, dovendosi in ogni caso avere riguardo alla vicenda concreta, che può mostrare plurimi segni peculiari in grado di orientare la delicata indagine giudiziaria sul dolo eventuale; indagine nella quale, come per tutte le valutazioni indiziarie, più è alta l’affidabilità, la coerenza e la consonanza dei segni, tanto maggiore risulta la forza del finale giudizio.
Quanto al “fine” che animò la condotta del Ciontoli, la Cassazione lo individua in quello di evitare conseguenze dannose sul piano lavorativo; finalità niente affatto incompatibile con l’adesione volontaria all’evento-morte, giacché un dato era ormai irreversibile, ossia il ferimento con un proiettile esploso dall’arma che Ciontoli aveva nella sua abitazione, peraltro in violazione dell’articolo 20 della legge n. 110/1975.
In questo senso, i Supremi giudici avallano la ricostruzione indiziaria operata dai giudici di merito secondo cui la morte del Vannini avrebbe reso più disagevole l’accertamento delle responsabilità di tutti i protagonisti della vicenda in esame.
Una circostanza è certa per la Corte regolatrice: «Antonio Ciontoli evitò consapevolmente e reiteratamente (come si vedrà, anche determinando le condotte dei suoi familiari nello stesso senso) di osservare l’unica possibile condotta doverosa imposta dal ferimento di Marco Vannini con un colpo di arma da fuoco, ovvero l’immediata chiamata dei soccorsi e la necessaria corretta informazione su quanto realmente accaduto». Il Ciontoli – e come si dirà postea i suoi familiari – «omise prima, e per un tempo apprezzabile, di chiamare i soccorsi; quando finalmente lo fece, omise di riferire quanto realmente accaduto, sebbene consapevole di aver esploso un colpo di pistola, con un’arma di potenza micidiale, e quindi con chiara rappresentazione della possibile verificazione dell’evento più tragico e, ciononostante, inducendosi ad agire accettando la prospettiva che l’accadimento avesse luogo. Il Ciontoli operò in un lungo contesto temporale, che gli consentì ampiamente di considerare le possibili conseguenze della sua condotta, alla realizzazione della quale si determinò nonostante vi fossero tutti gli elementi di allarme derivanti da un ferimento con un’arma da fuoco». Egli «peraltro, si adoperò, con il fattivo aiuto dei suoi familiari, per cancellare le tracce della condotta di ferimento: fece nascondere le armi, le cartucce e il bossolo del proiettile sparato; provvide a cancellare le tracce di sangue; provvide a lavare il Vannini, spostandolo dal luogo del ferimento, nonché a rivestirlo con indumenti non suoi. Il Ciontoli ebbe altresì la possibilità di rappresentarsi tutte le conseguenze dannose che possono derivare dallo spostamento di un soggetto ferito; e ciò costituisce patrimonio di conoscenza che non richiede specifiche competenze tecniche».
In conclusione «la condotta di Antonio Ciontoli fu dunque non solo assolutamente antidoverosa ma caratterizzata da pervicacia e spietatezza, anche nel nascondere quanto realmente accaduto, sicché appare del tutto irragionevole prospettare – come fa la difesa – che egli avesse in cuor suo sperato che Marco Vannini non sarebbe morto».
Segue : la posizione concorsuale dei famigliari
Quanto, infine, all’elemento soggettivo configurabile in capo ai coimputati, secondo la Cassazione «correttamente la Corte territoriale ha inquadrato le condotte dei fratelli Ciontoli e della Pezzillo nella fattispecie del concorso ex articolo 110 del Cp», avendo i giudici di merito ben spiegato, analizzando le risultanze processuali, come tutti gli imputati agirono con dolo eventuale rispetto all’evento morte.
Dove invece ha errato la Corte territoriale – conclude la Cassazione – sta nella parte finale della gravata sentenza che, onde differenziare le posizioni dei coimputati a livello sanzionatorio, ha ritenuto l’articolo 116 del Cp, con conseguente diminuzione di pena.
Secondo la Corte d’assise d’appello i familiari di Antonio Ciontoli si erano prospettati un evento meno grave e diverso da quello ravvisato e accettato dall’imputato principale, cioè quello delle lesioni (anche gravi) in danno del Vannini. Ma questo assunto è errato per la Corte regolatrice perché nella vicenda in esame non è riscontrabile un mutamento dell’agire o nella volontà del Ciontoli tale da potersi ritenere applicabile l’istituto del concorso anomalo (per il quale non basta la volontà dell’evento diverso ma è necessaria la contrapposizione nell’iter criminosi di una variazione del titolo di reato a causa dell’agire del correo). Non è riscontrabile un reato diverso scaturito dalla deviazione rispetto alla volontà dei compartecipi nolenti; non si verte in un caso in cui i concorrenti sono stati convinti a cooperare nel delitto concordato di lesioni, il quale poi è mutato per opera di un altro concorrente; nella specie, non vi è stato alcun prevedibile mutamento della condotta del Ciontoli, la cui colposa mancata previsione possa essere ascritta a titolo di dolo ai familiari concorrenti.
Escluso il concorso anomalo, per la Cassazione è ben possibile diversificare il grado di intensità del dolo e di partecipazione causale dei concorrenti (facendo distinzione tra i familiari che si sono «potuti rendere conto della gravità della ferita inferta a Marco Vannini e delle sue sempre più gravi condizioni di salute» e «la figura autoritaria di Antonio Ciontoli, il suo carisma e le continue rassicurazioni rivolte ai propri familiari unitamente alla diversità di età ed esperienze della moglie e dei due figli rispetto a quelle del marito e padre, militare di carriera e addetto ai servizi di sicurezza del servizio segreto») facendo applicazione della fattispecie di cui al combinato disposto degli articoli 110, 114, comma 3, del Cp, nella parte in cui fa riferimento al concorrente che “è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato, quando concorrono le condizioni stabilite” nel numero 3 del comma 1 dell’articolo 112 del Cp, che fa a sua volta riferimento a “chi, nell’esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza, ha determinato a commettere il reato persone ad esso soggette”».
Rilevato l’errore di diritto la Suprema Corte, senza annullare sul punto la sentenza impugnata (che avrebbe determinato rinvio per un ulteriore esame), ha potuto procedere direttamente alla qualificazione del fatto ascritto ai coimputati ai sensi degli articoli 110, 114, comma 3, e 575 del Cp, giacché il trattamento sanzionatorio previsto per tale fattispecie concorsuale attenuata è lo stesso che era stato determinato dalla Corte territoriale applicando (erroneamente) l’articolo 116 del Cp.