Lavoro

Cassa forense non può tagliare le annualità in caso di contribuzione parziale

Per la Cassazione, ordinanza n. 694 depositata oggi, manca una disposizione in tal senso nella legge professionale

di Francesco Machina Grifeo

Cassa forense non può tagliare dal calcolo della pensione gli anni per i quali non vi sia stato un versamento integrale dei contributi dovuti. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 694 depositata oggi, respingendo il ricorso dell'istituto di previdenza. Per la Sezione Lavoro ciò potrebbe causare qualche "inconveniente", anche nei conti della Cassa, tuttavia non si può che prendere atto della "mancanza, nell'ambito della legge professionale, di una disposizione che preveda espressamente l'annullamento della contribuzione versata e della relativa annualità in caso di parziale omissione".


La vicenda - La Corte d'Appello di Salerno, nel 2014, ha confermato (in parte) la sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore di parziale accoglimento dell'opposizione del legale alla cartella esattoriale ed ha rigettato poi la domanda riconvenzionale con la quale la Cassa Forense aveva chiesto dichiararsi l'inefficacia, ai fini del calcolo della pensione di vecchiaia, degli anni 1992,1993 e 1994, per i quali il pagamento dei contributi non era stato integrale. Per la Corte territoriale, infatti, nessuna norma della legge professionale prevede, come invece avviene per i lavoratori dipendenti, che l'annualità non possa essere accreditata ove i versamenti contributivi siano inferiori al dovuto. Contro questa decisione l'Istituto di previdenza ha proposto ricorso in Cassazione.

La motivazione - La Suprema ricorda che l'articolo 2 della legge 576 del 1980, come sostituito dall'articolo 1 della legge febbraio 1992, n. 141, prevede che la pensione di vecchiaia «è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all'1,75 per cento della media dei più elevati dieci redditi professionali...". Tuttavia, prosegue, il termine «e ffettivo» non può interpretarsi come precettivo del fatto che la contribuzione debba essere «integrale», in quanto la comune accezione del termine non fa alcun riferimento ad una «misura».

L'aggettivazione usata sta invece ad indicare che la pensione si commisura sulla base della contribuzione «effettivamente» versata, escludendo così ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige invece per il lavoro dipendente e che è ovviamente inapplicabile alla previdenza dei liberi professionisti.

Nessuna disposizione della legge professionale, prosegue la Corte, "prescrive che l'annualità non possa essere accreditata, ove i versamenti siano inferiori ad una determinata soglia, non vi è quindi la regola del c.d. minimale per la pensionabilità, come invece previsto per i lavoratori dipendenti (L. n. 638 del 1983, art. 7)". La Cassazione si mostra poi consapevole che questo potrebbe creare dei problemi ma ritiene di non poter decidere altrimenti considerato il tenore della norma.

"È pur vero - scrivono i giudici - che con questo meccanismo si finisce per computare sia ai fini della anzianità contributiva prescritta, sia ai fini della misura della pensione, anche gli anni in cui si è versato meno del dovuto e che detto minore versamento potrebbe anche non influire sull'ammontare della prestazione, andando così a scapito della Cassa", e questo potrebbe accadere perché, come si è detto, rileva la media dei 10 redditi professionali più elevati dell'ultimo quindicennio, "tuttavia sembra questo un effetto ineliminabile della mancanza, nell'ambito della legge professionale, di una disposizione che ricolleghi alla parziale omissione contributiva, l'annullamento sia di quanto versato, sia dell' intera annualità".

Né può addivenirsi ad una diversa soluzione, neppure seguendo l'argomento per cui in tal modo "basterebbe il versamento di un minimo contributo, perché il professionista si veda conteggiato l'intero anno di contribuzione, con conseguenti riflessi negativi sull'intera categoria dei professionisti iscritti, e ciò in aperta contraddizione con la logica della previdenza professionale, improntata a principi solidaristici".

La Corte individua dunque una "patologia del sistema" che ritiene però superabile attraverso "l'adozione di più rigorosi controlli sulle comunicazioni e sulle dichiarazioni inviate dagli iscritti, al fine di procedere tempestivamente al recupero di quanto dovuto e non versato".

Infine, rimane il dubbio sugli effetti del «Regolamento per la costituzione della rendita vitalizia reversibile in caso di parziale omissione di contributi per i quali sia intervenuta la prescrizione», deliberato dal Comitato dei delegati del 16 dicembre 2005 e approvato con delibera interministeriale del 24 luglio 2006, espressamente invocato dalla Cassa, ma che la Corte non indaga in quanto successivo ai fatti di causa.

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