Professione e Mercato

Cassazione: l'avvocato non può autenticare la croce del cliente analfabeta

Il crocesegno è un semplice elemento grafico convenzionale e non può essere equipollente alla sottoscrizione per cui è inoperante la funzione stessa dell'autenticazione

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di Marina Crisafi

Il difensore non può autenticare la firma del cliente analfabeta apposta tramite crocesegno, in quanto trattandosi di un mero elemento grafico non equipollente alla sottoscrizione, è inoperante la funzione stessa dell'autenticazione. È quanto ha affermato la prima sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 17508/2023, rigettando il ricorso di un imputato avverso il decreto del presidente del tribunale di sorveglianza di Catanzaro che aveva dichiarato inammissibili le istanze di affidamento in prova al servizio sociale e detenzione domiciliare in quanto il difensore aveva autenticato il crocesegno apposto dal condannato in calce all'istanza stessa.

La vicenda
Decisione, quella del tribunale di sorveglianza, basata sul principio espresso dalle Sezioni Unite (cfr. n. 22/1998) secondo cui nella «nozione di pubblico ufficiale abilitato, a norma dell'art. 110, comma terzo, c.p.p., ad annotare, in fine di un atto scritto, che il suo autore non lo firma perché non è in grado di scrivere, non è compresa espressamente, nè può farsi rientrare in via di interpretazione, la figura del difensore, a nulla rilevando che ad esso l'art. 39 disp. att. stesso codice attribuisca il potere di autenticazione della sottoscrizione di atti per i quali sia previsto il compimento di tale formalità, in quanto l'autenticazione è atto con cui il pubblico ufficiale si limita ad attestare che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, mentre l'attestazione che un anonimo segno di croce proviene da una certa persona anziché da qualunque altra costituisce esercizio di una potestà certificatíva esulante dal potere eccezionalmente riconosciuto al difensore solo in presenza di un atto regolarmente sottoscritto».
Di contrario avviso il difensore del condannato che, innanzi al Palazzaccio deduce che l'articolo 39 disp. att. c.p.p. si riferisce all'autenticazione degli atti per i quali il codice di rito prevede tale formalità, sicché ritenere non compresa l'autentica da parte del difensore al segno di croce apposto dal proprio assistito, analfabeta, restringe indebitamente un diritto.
Rileva, inoltre, il legale che, il provvedimento impugnato non è stato notificato allo stesso, avendo il giudice erroneamente ritenuto invalida anche la nomina del difensore, siccome apposta in calce all'istanza di ammissione alle misure alternative alla detenzione, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità secondo cui la nomina del difensore di fiducia fatta dall'imputato con dichiarazione scritta, anche se mancante di autenticazione, è valida poiché detto requisito non è richiesto dall'articolo 96 c.p.p.

La decisione
Per gli Ermellini, tuttavia, le censure sono entrambe infondate.
Il collegio riafferma infatti il principio di diritto secondo cui, "la natura del ‘crocesegno' - semplice elemento grafico convenzionale indicante che una persona non sa scrivere e come tale non idonea all'individuazione del suo autore - non può costituire equipollente della sottoscrizione, con la conseguenza che deve ritenersi inoperante la funzione stessa dell'autenticazione".
Va esclusa, quindi, nei riguardi dell'analfabeta, sia l'applicabilità dell'articolo 110, terzo comma c.p.p., che si riferisce alla persona che non è in grado di scrivere per causa diversa dall'analfabetismo, sia l'applicabilità dell'articolo 39 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che conferisce al difensore il mero potere di autenticazione della sottoscrizione e non anche quello di formazione dell'atto di nomina che, nel caso specifico, deve necessariamente essere ricevuto da! pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell'articolo 96, comma 2, c.p.p.
Per le suddette ragioni è, dunque, inammissibile l'impugnazione proposta dall'analfabeta il cui "crocesegno" cui il difensore abbia apposto la dicitura "è autentica", del quale ultimo difetta la legittimazione alla proposizione del gravame.
È poi da respingersi, rincarano i giudici, anche la censura sulla mancata notifica al difensore del provvedimento impugnato. Stante la già richiamata natura del "crocesegno", a nulla vale invocare, infatti, "l'applicabilità al caso che ci occupa la giurisprudenza di legittimità, qui condivisa, secondo la quale è valida la nomina del difensore di fiducia, fatta dall'imputato con dichiarazione scritta, anche se mancante di autenticazione, non essendo tale requisito richiesto dall'art. 96 c.p.p., poiché tale giurisprudenza postula comunque che siano state rispettate le condizioni (ndr richieste dalla norma) e, segnatamente, l'apposizione della firma da parte dell'interessato".
D'altro canto e con valenza assorbente, conclude la S.C. rigettando il ricorso, il provvedimento impugnato "non doveva in ogni caso essere notificato al difensore, ma è stato correttamente notificato, ai sensi dell'art. 666, comma 2, c.p.p. al solo soggetto «interessato», come tale dovendosi intendere esclusivamente colui che vanti una posizione giuridicamente tutelata sulla quale incide l'esecuzione del provvedimento".

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