Civile

Cassazione civile: le principali sentenze di procedura della settimana

La selezione delle pronunce della Suprema corte nel periodo compreso tra l'1 ed il 5 febbraio 2021

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di Federico Ciaccafava

Nel consueto appuntamento con i depositi della giurisprudenza di legittimità in materia processualcivilistica, si segnalano questa settimana, tra le molteplici pronunce, quelle che, in particolare, si sono soffermate sulle seguenti tematiche o questioni: (i) divieto di testimonianza e creditore ammesso allo stato passivo fallimentare; (ii) divieto di testimonianza e testimone legato alla parte da vincoli di parentela o coniugali; (iii) spese di lite e liquidazione in ragione della reciproca parziale soccombenza; (iv) estinzione del processo e tempestività della riassunzione; (v) ragionevole durata del processo e giudizio di cassazione; (vi) pagamento onorari professionali, sentenza di condanna e regime impugnatorio; (vii) violazione termine di comparizione e costituzione del convenuto; (viii) principio del giusto processo, appesantimento del giudizio e bilanciamento con altri valori costituzionali.

PROCEDURA CIVILE – I PRINCIPI IN SINTESI

MEZZI DI PROVA Cassazione n. 2286/2021
L'ordinanza conferma il principio che nega al creditore ammesso allo stato passivo, l'incapacità, in quanto tale, di rendere testimonianza nel giudizio di opposizione allo stato passivo promosso da altro creditore, occorrendo viceversa apprezzare, in concreto, se l'eventuale intervento ex articolo 99, comma 8, legge fall. si correli ad un interesse giuridico, personale, concreto ed attuale, alla definizione del predetto giudizio.

MEZZI DI PROVACassazione n. 2295/2021
Cassando con rinvio la pronuncia della corte del merito, l'ordinanza ribadisce che non sussiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia vincoli di parentela o coniugali con una delle parti, atteso che, caduto il divieto di testimoniare previsto dall'articolo 247 c.p.c. l'attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente in difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita di credibilità.

SPESE PROCESSUALICassazione n. 2492/2021
La decisione riafferma il principio secondo il quale la regolazione delle spese di lite può avvenire in base alla soccombenza integrale, che determina la condanna dell'unica parte soccombente al pagamento integrale di tali spese (articolo 91 c.p.c.), ovvero in base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi (articolo 92, comma 2, c.p.c.); a tale fine, la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, tanto allorché quest'ultima sia stata articolati in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento.

INTERRUZIONE DEL PROCESSO Cassazione n. 2526/2021
Richiamando un precedente del 2018, l'ordinanza riafferma che l'onere processuale della tempestiva riassunzione è assolto con il deposito della prima istanza, in quanto la restante attività attiene alla chiamata in giudizio ("vocatio in ius") ed all'ordine del giudice di rinotifica ove la notifica non sia andata a buon fine in applicazione dell'articolo 291 c.p.c., configurandosi l'estinzione del processo, ex articolo 291, terzo comma, c.p.c., solo in caso di inerzia della parte.

IMPUGNAZIONI Cassazione n. 2627/2021
La decisione consente alla Corte di riaffermare che nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di una infondatezza "prima facie" del ricorso, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un'attività processuale del tutto ininfluente sull'esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità.

SENTENZACassazione n. 2628/2021
Nel quadro di una controversia insorta tra una società ed un avvocato in merito al pagamento degli onorari professionali, la decisione ribadisce che l'impugnazione della sentenza di condanna al pagamento del corrispettivo di prestazioni contrattuali per ragioni attinenti l'"an debeatur" impedisce il formarsi del giudicato anche in merito al "quantum", ed all'ammontare delle singole voci che lo compongono, senza necessità di una specifica impugnazione della sentenza anche nella parte in cui ha proceduto alla liquidazione di queste ultime.

DOMANDA GIUDIZIALECassazione n. 2673/2021
Esaminando una controversia soggetta al rito del lavoro, la decisione ribadisce che il vizio dell'atto introduttivo del giudizio per essere stato assegnato un termine inferiore a quello prescritto dal codice di rito, è sanato dalla costituzione del convenuto solo se questi, costituendosi, non formuli richiesta di fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini, poiché in tal caso il giudice è tenuto ad accogliere la richiesta.

ATTI PROCESSUALI Cassazione n. 2832/2021
La decisione riafferma che il principio del giusto processo non si esplicita nella sola durata ragionevole dello stesso, dovendosi, invero, prestare la massima attenzione ad evitare di sanzionare comportamenti processuali ritenuti non improntati al valore costituzionale della ragionevole durata del processo, a scapito degli altri valori in cui pur si sostanzia il processo equo, quali il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio, e, in definitiva, il diritto ad un giudizio.

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PROCEDURA CIVILE – IL MASSIMARIO

Mezzi di prova – Prova testimoniale – Incapacità a testimoniare ex art. 246 cod. proc. civ. – Presupposti – Interesse che legittima la partecipazione al giudizio – Caratteri – Incapacità del creditore ammesso allo stato passivo a testimoniare nel giudizio di opposizione promosso da altro creditore – Sussistenza in astratto – Esclusione – Verifica in concreto – Necessità – Fondamento. (Cost, articolo 24; Cpc, articolo 246; Rd, n. 267/1942, articoli 98 e 99)
L'interesse che determina l'incapacità a testimoniare, ai sensi dell'articolo 246 cod. proc. civ., è solo l'interesse giuridico, personale, concreto ed attuale, che comporta o una legittimazione principale a proporre l'azione o una legittimazione secondaria a intervenire nel giudizio proposto da altri. Pertanto, attesa l'interpretazione restrittiva del divieto di testimoniare, incidente sul diritto di difesa, e la natura dell'opposizione allo stato passivo fallimentare, divenuta giudizio a trattazione singolare con la riforma di cui al Dlgs n. 169 del 2007, deve escludersi che il creditore ammesso allo stato passivo sia, in quanto tale, incapace di testimoniare nel giudizio di opposizione allo stato passivo promosso da altro creditore, occorrendo viceversa apprezzare in concreto se l'eventuale intervento ex articolo 99, comma 8, legge fall., come sostituito dal predetto Dlgs n. 169, si correli ad un interesse giuridico, personale, concreto ed attuale, alla definizione del predetto giudizio (Nel caso di specie, nel rigettare il ricorso avverso il decreto che, in reiezione dell'opposizione svolta ex articolo 98 legge fall. avverso il decreto con cui il giudice delegato aveva negato l'ammissione al passivo del credito del ricorrente, aveva confermato l'esclusione di un rapporto di lavoro subordinato, il giudice di legittimità ha precisato che l'enunciato principio è stato ribadito anche oltre la materia concorsuale, specificandosi che l'attuazione del principio costituzionale di difesa impone di interpretare in senso restrittivo tale divieto, salvo valutare, sul piano della attendibilità, le deposizioni: in tal senso, si è negato che i pretesi autori di mobbing potessero di per sé incorrere nel limite a deporre, al pari del creditore del venditore in merito al pagamento in contanti del prezzo di un immobile alienato a terzi) (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, ordinanza 15 gennaio 2020, n. 525; Cassazione, sezione civile L, sentenza 4 aprile 2018, n. 8368; Cassazione, sezione civile I, sentenza 24 maggio 2012, n. 8239).
Cassazione, sezione I civile, ordinanza 2 febbraio 2021, n. 2286 – Presidente Cristiano – Relatore Ferro

Mezzi di prova – Prova testimoniale – Capacità a testimoniare – Soggetti legati alle parti processuali dai vincoli di parentela o affinità – Necessaria inattendibilità – Configurabilità – Esclusione – Fondamento. (Cpc, articoli 244, 245, 246 e 247)
In tema di prova testimoniale, una volta venuto meno il divieto di testimoniare previsto dall'articolo 247 cod. proc. civ. per effetto dell'intervento della Consulta (cfr., Corte Cost. nr. 248 del 1974) i soggetti che sono legati alle parti processuali da vincoli di parentela od affinità possono (e devono) essere sentiti in qualità di testimoni, restando ovviamente salva, al di là della ricorrenza dell'ipotesi di cui all'articolo 246 cod. proc. civ., la successiva valutazione di attendibilità dei testimoni, all'esito del loro esame. Infatti, non sussiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone il quale abbia vincoli di parentela o coniugali con una delle parti, non potendo l'attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli essere esclusa aprioristicamente in difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita di credibilità (Nel caso di specie, relativo ad una controversia in materia giuslavoristica, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata nella parte in cui la corte territoriale aveva ridotto la lista testimoniale della ricorrente, escludendo dalla stessa le persone legate a quest'ultima da un vincolo di parentela e solo a motivo di tale vincolo: trattasi, infatti, di espressione, osserva la pronuncia, che denota un pregiudizio ed un aprioristico giudizio di inattendibilità che non trova alcun fondamento nel dettato normativo e nei principi elaborati in sede giurisprudenziale). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, sentenza 17 dicembre 2015, n. 25358; Cassazione, sezione civile III, sentenza 21 febbraio 2011, n. 4202; Cassazione, sezione civile II, sentenza 6 dicembre 2007, n. 25549; Cassazione, sezione civile III, sentenza 20 gennaio 2006, n. 1109; Corte cost. sentenza 23 luglio 1974, n. 248)
Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 2 febbraio 2021, n. 2295 – Presidente Esposito – Relatore Marchese

Spese processuali – Regolazione – Principio della soccombenza e principio di causalità degli oneri processuali – Reciproca soccombenza – Configurabilità – Condizioni. (Cpc, articoli 91 e 92)
La regolazione delle spese di lite può avvenire in base alla soccombenza integrale, che determina la condanna dell'unica parte soccombente al pagamento integrale di tali spese (art.icolo 91 cod. proc. civ.), ovvero in base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi (articolo 92, comma 2, cod. proc. civ.); a tale fine, la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, tanto allorché quest'ultima sia stata articolati in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni – che è appunto il caso che viene in rilievo nel caso in esame – quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, compensato integralmente tra le parti le spese del giudizio di appello, nonché del giudizio di rinvio, oltre a quelle del giudizio in esame; in particolare, il giudice di legittimità, in applicazione dell'enunciato principio, ha censurato la decisione del giudice del rinvio di porre le spese del grado di appello a carico della ricorrente, quantunque l'oggetto principale del giudizio – la domanda di risoluzione per inadempimento del contratto con annessa richiesta di restituzione dell'immobile alla venditrice, nonché la domanda riconvenzionale di accertamento del già avvenuto trasferimento della proprietà del bene alla società acquirente e di risarcimento del danno dalla medesima subito – avesse visto la totale definitiva soccombenza di quest'ultima, come dimostrano i ben quattordici motivi di ricorso per cassazione ritenuti inammissibili). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, sentenza 22 febbraio 2016, n. 3438).
Cassazione, sezione III civile, ordinanza 3 febbraio 2021, n. 2492 – Presidente Frasca – Relatore Guizzi

Interruzione del processo – Riassunzione –Termine ex art. 305 c.p.c. – Applicabilità – Alla sola fase del deposito del ricorso in cancelleria – Conseguenze – Vizi della notifica dell'atto di riassunzione tempestivamente depositato – Estinzione del processo – Esclusione – Rinnovazione della notifica – Necessità – Mancata osservanza del termine perentorio per la rinnovazione – Effetti. (Cpc, articoli 291, 299, 303, 305 e 307)
Verificatasi una causa d'interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata "edictio actionis" da quello della "vocatio in ius", il termine perentorio di sei mesi, previsto dall'articolo 305 cod. proc. civ., è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicché, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della predetta "vocatio in ius". Ne consegue che il vizio da cui sia colpita la notifica dell'atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell'udienza non si comunica alla riassunzione (oramai perfezionatasi), ma impone al giudice di ordinare, anche qualora sia già decorso il (diverso) termine di cui all'articoo 305 cod. proc. civ., la rinnovazione della notifica medesima, in applicazione analogica dell'articolo 291 cod. proc. civ., entro un ulteriore termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determinerà l'eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso articolo 291, comma 3, e del successivo articolo 307, comma 3, cod. proc. civ. (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di responsabilità professionale, la Suprema Corte rigettando il ricorso, ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata con la quale la corte distrettuale, dando continuità all'enunciato principio, aveva rigettato l'istanza di estinzione formulata dalla ricorrente). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, ordinanza 20 febbraio 2018, n. 9819; Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 28 giugno 2006, n. 14854).
Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 3 febbraio 2021, n. 2526 – Presidente Scoditti – Relatore Valle

Impugnazioni – Giudizio di cassazione – Mancata notifica del ricorso a soggetto parte dei precedenti gradi di merito – Ricorso "prima facie" infondato – Ordine di integrazione del contraddittorio – Necessità – Esclusione – Fondamento (Cost, articoli 24 e 111; Cpc, articoli 101, 102, 127 e 175)
Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli articoli 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato a produrre i suoi effetti (Nel caso di specie, la Suprema Corte, pur rilevando che il ricorso per cassazione non era stato notificato ad un soggetto che era stato parte tanto del giudizio di primo grado quanto di quello d'appello, valutata l'impugnazione "prima facie" infondata, ha concluso per non assumere alcun provvedimento, atteso che un eventuale ordine di integrazione del contraddittorio si sarebbe tradotto, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del processo in contrasto con gli enunciati principi). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 15 maggio 2020, n. 8980; Cassazione, sezione civile II, sentenza 10 maggio 2018, n. 11287; Cassazione, sezione civile III, sentenza 17 giugno 2013, n. 15106).
Cassazione, sezione II civile, ordinanza 4 febbraio 2021, n. 2627 – Presidente Di Virgilio – Relatore Tedesco

Sentenza – Impugnazione – Sentenza di condanna al pagamento di prestazioni contrattuali – Contestazione dell'"an debeatur" – Effetti – Formazione del giudicato sulla liquidazione delle singole voci componenti il "quantum debeatur" – Configurabilità – Esclusione. (Cc, articolo 2909; Cpc, articoli 112, 324 e 329)
L'impugnazione della sentenza di condanna al pagamento del corrispettivo di prestazioni contrattuali per ragioni attinenti l'"an debeatur" impedisce il formarsi del giudicato anche in merito al "quantum", ed all'ammontare delle singole voci che lo compongono, senza necessità di una specifica impugnazione della sentenza anche nella parte in cui ha proceduto alla liquidazione di queste ultime (Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta tra la ricorrente società ed un avvocato per il pagamento degli onorari professionali, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata avendo la corte del merito, nel liquidare l'importo a favore del professionista, ritenuto la mancata presa di posizione della appellata società sul "quantum" sotto il profilo della non contestazione, benché l'applicazione degli enunciati principi le imponesse di ritenere la contestazione medesima comunque mossa sull'"an" come estesa implicitamente anche al "quantum" che avrebbe dovuto pertanto costituire oggetto di specifica verifica e valutazione giudiziale). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile II, sentenza 15 settembre 2009, n. 19870; Cassazione, sezione civile V, sentenza 7 febbraio 2013, n. 2894).
Cassazione, sezione II civile, ordinanza 4 febbraio 2021, n. 2628 – Presidente Di Virgilio – Relatore Tedesco

Domanda giudiziale – Atto introduttivo del giudizio – Contenuto – Termine di comparizione – Violazione – Nullità – Sanatoria – Costituzione del convenuto – Limiti e condizioni. (Cpc, articoli 163, 163-bis, 164 e 415)
La nullità dell'introduzione del giudizio, determinata dall'inosservanza del termine dilatorio di comparizione è sanata dalla costituzione del convenuto solo se questi, costituendosi, non faccia richiesta di fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini, poiché in tal caso il giudice è tenuto ad accogliere la richiesta; la mancata fissazione della nuova udienza, sollecitata dal convenuto, impedisce alla costituzione di sanare la nullità, a nulla rilevando che questi si sia difeso nel merito, dovendosi presumere che l'inosservanza del termine a comparire gli abbia impedito una più adeguata difesa (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata avendo la corte del merito, nel giustificare il rigetto del motivo di gravame con cui parte ricorrente aveva censurato la sentenza di primo grado per mancato accoglimento della istanza di rimessione in termini formulata a fronte della notifica del ricorso di primo grado avvenuta in violazione (sia pure per un solo giorno) del termine a comparire stabilito dall'articolo 415, comma 5 , cod. proc. civ., ritenuto che la costituzione della ricorrente medesima avesse comunque sanato il vizio di contraddittorio e che la mancata rimessione in termini fosse giustificata dal fatto che la stessa non avesse indicato quale documentazione produrre in caso di accoglimento della relativa istanza; infatti, precisa la decisione, fermo il principio secondo cui, una volta accertato il mancato rispetto del termine a comparire da parte della ricorrente, era da escludere che il giudice di primo grado potesse negare la fissazione di altra udienza onde consentire alla parte comparsa, che ne aveva fatto richiesta, la possibilità di fruire dell'intero periodo stabilito dall'articolo 415, comma 5, cod. proc. civ. per l'approntamento delle proprie difese, il diritto di difesa, che il Legislatore ha inteso garantire con la previsione della necessità del rispetto di un termine minimo di comparizione, non consente di condizionare l'accoglimento della richiesta di differimento dell'udienza alla valutazione discrezionale del giudicante circa la necessità o meno per la parte convenuta di disporre di tale ulteriore periodo in relazione alle concrete difese da esplicare). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile II, sentenza 16 ottobre 2014, n. 21957; Cassazione, sezione civile L, sentenza 13 maggio 2004, n. 9150; Cassazione, sezione civile L, sentenza 18 gennaio 1997, n. 521).
Cassazione, sezione L civile, ordinanza 4 febbraio 2021, n. 2673 – Presidente Di Virgilio – Relatore Pagetta

Atti processuali – Principio del giusto processo – Declinazione – Principio della ragionevole durata del processo – Rilevanza – Limiti – Bilanciamento con altri valori di rango costituzionale – Necessità. (Cost, articoli 24 e 111; Cpc, articoli 132, 360 e 384)
La giurisdizione, come conferma la formulazione letterale dell'articolo 111 Cost., è destinata ad attuarsi mediante il "giusto processo" del quale la legge, ma anche, per vero, la concreta conduzione del giudizio da parte del singolo giudice, investito di un "frammento" di quella giurisdizione, deve assicurare la "ragionevole durata". Se, dunque, nel concetto di giusto processo è certamente insito il carattere della tempestività della definizione del giudizio, tale esigenza risulta dotata di rilievo costituzionale se, appunto, "ragionevole", vale a dire concepita non quale valore assoluto, ma anche in rapporto alle altre tutele costituzionali, primo tra tutti il diritto delle parti di agire e difendersi in giudizio garantito dall'articolo 24 Cost. Infatti, nel riconoscere che il principio della ragionevole durata del processo è divenuto punto costante di riferimento nell'ermeneutica delle norme, in particolare di quelle processuali, e nella individuazione del rispettivo ambito applicativo, conducendo a privilegiare, pur nel doveroso rispetto del dato letterale, opzioni contrarie ad ogni inutile appesantimento del giudizio, occorre tuttavia ribadire che il principio del giusto processo, nella sua dimensione sia costituzionale che sovranazionale, non si esplicita nella sola durata ragionevole dello stesso, dovendosi, invero, prestare la massima attenzione ad evitare di sanzionare comportamenti processuali ritenuti non improntati al valore costituzionale della ragionevole durata del processo, a scapito degli altri valori in cui pur si sostanzia il processo equo, quali il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio, e, in definitiva, il diritto ad un giudizio (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di responsabilità per danni cagionati in conseguenza di un sinistro stradale, la Suprema Corte, pur ritenendo infondato il motivo di ricorso, ha ritenuto opportuno operare una precisazione, anche a fini nomofilattici ai sensi dell'articolo 384, ultimo comma, cod. proc. civ.; in particolare, l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui "…i principi di economia processuale e ragionevole durata del processo…" avrebbero ostato alla richiesta di supplemento della C.T.U. medico-legale, astrattamente suscettibile di integrare il denunziato vizio di legittimità, non poteva tener conto anche della restante parte motiva della pronuncia ove si esplicitava la piena condivisibilità delle risultanze emerse dalla medesima C.T.U. svolta in primo grado; da ciò consegue, conclude la Corte, il rigetto del motivo di ricorso, risultando tale ulteriore "ratio decidendi", anche alla luce dell'avvenuta "riduzione al minimo costituzionale" del sindacato sulla motivazione della sentenza, idonea a sorreggere la decisione adottata). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 12 marzo 2014, n. 5700; Corte cost. ordinanza 15 luglio 2003, n. 251; Corte cost. ordinanza 4 dicembre 2002, n. 519; Corte cost. ordinanza 24 aprile 2002, n. 137; Corte cost. ordinanza 9 febbraio 2001, n. 32).
Cassazione, sezione III civile, ordinanza 5 febbraio 2021, n. 2832 – Presidente Graziosi– Relatore Guizzi

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