Civile

Cassazione civile: le principali sentenze di procedura della settimana

La selezione delle pronunce della Suprema corte depositate nel periodo compreso tra il 6 ed il 10 febbraio 2023

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di Federico Ciaccafava

Nel consueto appuntamento con i depositi della giurisprudenza di legittimità in materia processualcivilistica, si propongono, nel periodo oggetto di scrutinio, le pronunce che, in particolare, si sono soffermate sulle seguenti tematiche o questioni: (i) perizia stragiudiziale e potere decisionale del giudice; (ii) violazione del diritto di difesa e nullità della sentenza; (iii) giudizio di cassazione ed erronea intitolazione del motivo di ricorso; (iv) giudice competente e sezione fallimentare del tribunale; (v) giudizio di appello e specificità dei motivi di impugnazione; (vi) spese di giudizio, condanna per responsabilità aggravata e abuso dello strumento processuale; (vii) poteri del giudice e vizio di ultrapetizione; (viii) edilizia residenziale pubblica, immobile occupato senza titolo e conflitto di giurisdizione; (ix) giudizio di appello, domande nuove e diritti autodeterminati.

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PROCEDURA CIVILE - I PRINCIPI IN SINTESI

PROVA CIVILE - Cassazione n. 3524/2023
Cassando con rinvio la sentenza impugnata, l’ordinanza riafferma che il giudice del merito può porre a fondamento della propria decisione una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione di questa sua valutazione.

IMPUGNAZIONI - Cassazione n. 3574/2023
Cassando con rinvio la sentenza impugnata in applicazione di un principio enunciato dalle Sezioni Unite, l’ordinanza ribadisce che la parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero di replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia.

IMPUGNAZIONI - Cassazione n. 3670/2023
La pronuncia ribadisce che l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato.

COMPETENZA - Cassazione n. 3706/2023
La decisione, muovendo dall’assunto che la Sezione fallimentare costituisce espressione dell’organizzazione interna del Tribunale e non già un ufficio autonomo, munito di propria competenza, afferma che ove una causa venga instaurata davanti al Tribunale che ha dichiarato il fallimento, non invalida l’atto di citazione ne lo stesso giudizio il fatto che il giudice adito nel Tribunale stesso non sia indicato nella sua sezione fallimentare.

IMPUGNAZIONI - Cassazione n. 3929/2023
La sentenza afferma che, qualora la sentenza impugnata si incentri su una sola e sintetica “ratio decidendi”, il motivo di appello, ai fini dello scrutinio di ammissibilità per specificità dei motivi di gravame, può anche consistere nella riproposizione degli argomenti già svolti in prime cure.

SPESE PROCESSUALI - Cassazione n. 4000/2023
La decisione riafferma che la condanna per responsabilità aggravata pronunciata ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., esige quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non già dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente.

POTERI DEL GIUDICE - Cassazione n. 4011/2023
Nell’ambito di una controversia insorta nell’ambito di un contratto di appalto, la pronuncia, cassando con rinvio la sentenza gravata, rimarca che integra il vizio di ultrapetizione la condanna dell’obbligato al pagamento di somma maggiore rispetto a quella domandata dal creditore.

GIURISDIZIONE - Cassazione n. 4012/2023
L’ordinanza ribadisce che, in tema di edilizia residenziale pubblica, appartiene al giudice ordinario la controversia introdotta da chi si opponga ad un provvedimento dell’amministrazione di rilascio di immobile occupato senza titolo, deducendo, al fine di paralizzare l’intimazione di rilascio, di avere diritto al subentro nell’assegnazione dell’alloggio, essendo contestato il diritto di agire esecutivamente e configurandosi l’ordine di rilascio come un atto imposto dalla legge, e non come esercizio di un potere discrezionale dell’amministrazione, la cui concreta applicazione richieda, di volta in volta, una valutazione del pubblico interesse.

IMPUGNAZIONI - Cassazione n. 4196/2023
Cassando con rinvio la sentenza impugnata, l’ordinanza riafferma che non vìola il divieto di “ius novorum” in appello la deduzione, da parte del convenuto dell’acquisto per usucapione, ordinaria o abbreviata, della proprietà dell’area rivendicata da controparte qualora già in primo grado egli abbia eccepito ad altro titolo la proprietà dell’area medesima; ciò in quanto la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non assolve ad una funzione di specificazione della domanda o dell’eccezione, ma è necessaria ai soli fini della prova.

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PROCEDURA CIVILE - IL MASSIMARIO

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Procedimento civile - Prova civile - Consulenza tecnica - Poteri del giudice - Decisione fondata su perizia stragiudiziale - Legittimità - Condizioni - Obbligo motivazionale - Necessità - Fattispecie relativa a giudizio di reclamo avverso sentenza dichiarativa di fallimento. (Rd, n. 267/1942, articolo 15; Cpc, articoli 116, 132 e 201)
Il giudice del merito può porre a fondamento della propria decisione una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione di questa sua valutazione, attesa l’esistenza, nel vigente ordinamento, del principio del libero convincimento del giudicante. In altri termini, non è vietato al giudice del merito, nella valutazione di tutti gli elementi sottopostigli e sempre che ne dia adeguata ragione, di porre a base della propria decisione una perizia stragiudiziale di parte - anche se impugnata dall’avversario e nonostante il suo valore di mera allegazione defensionale invece che di mezzo di prova legale - qualora essa contenga dati o considerazioni ritenute rilevanti ai fini della decisione (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale la corte d’appello, nel rigettare il reclamo proposto dal ricorrente, socio unico di una società a responsabilità limitata, contro la sentenza di fallimento, emessa all’esito di istruttoria prefallimentare in cui la società fallenda non aveva svolto difese, aveva ritenuto infondata l’eccezione preliminare del reclamante, di nullità della sentenza per inesistenza del decreto telematico di convocazione della società medesima, rilevando che le verifiche demandate dalla curatela ad un esperto informatico avevano consentito di accertare che l’atto non risultava affetto da alcuna irregolarità nell’apposizione della firma digitale da parte del giudice delegato, né era stato modificato o danneggiato dopo la sottoscrizione; nella circostanza, osserva l’ordinanza in esame, la corte territoriale, dopo aver dato atto che l’esistenza di una valida firma digitale era stata contestata dal reclamante sulla base dei risultati ottenuti da tre diversi software di controllo reperiti in rete, si era limitata a riportare, testualmente, il contenuto delle conclusioni del tecnico incaricato dal curatore del fallimento in ordine alla verifica della validità della firma digitale apposta sul decreto ed alla mancanza di successive manomissioni del file, omettendo di spiegare in alcun modo il motivo per il quale aveva ritenuto di aderire alla stessa, né si era preoccupata di chiarire da quali elementi di fatto, idonei a superare le specifiche contestazioni mosse dal reclamante, tali conclusioni erano state tratte). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 12 dicembre 2011, n. 26550; Cassazione, sezione civile II, sentenza 11 ottobre 2001, n. 12411; Cassazione, sezione civile II, sentenza 10 febbraio 1987, n. 1416; Cassazione, sezione civile III, sentenza 17 settembre 1980, n. 5286).

Cassazione, sezione I civile, ordinanza 6 febbraio 2023, n. 3524 - Presidente Cristiano - Relatore Pazzi

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Procedimento civile - Impugnazioni - Giudizio d’appello - Assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica - Deliberazione della sentenza anteriore alla loro scadenza o in caso di mancata assegnazione - Conseguenze - Nullità della sentenza - Sussistenza - Fondamento. (Cost, articolo 24; Cpc, articoli 132, 190, 352 e 360)
La parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero di replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; invero, la violazione determinata dall’avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all’atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata in quanto la stessa, ancorché pubblicata in data successiva, risultava tuttavia deliberata all’esito della camera di consiglio di una data precedente ed anteriore rispetto alla scadenza del termine concesso dalla corte territoriale ai sensi dell’art. 190 cod. proc. civ. per il deposito delle memorie conclusionali di replica). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 25 novembre 2021, n. 36596)

Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 6 febbraio 2023, n. 3574 - Presidente Bisogni - Relatore Amatore

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Procedimento civile - Impugnazioni - Giudizio di cassazione - Ricorso - Motivi - Erronea intitolazione del motivo di ricorso - Deduzione di mancanza o apparenza della motivazione - Inammissibilità - Condizioni e limiti. (Cpc, articolo 360)
L’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato. Pertanto, ove il ricorrente lamenti la mancanza o l’apparenza della motivazione, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande od eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante da ciò, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di opposizione allo stato passivo fallimentare, la Suprema Corte, in applicazione dell’enunciato principio, ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso, oggetto di una denunzia di violazione di legge e, previa riqualificazione dello stesso, ha cassato con rinvio il decreto impugnato) (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile II, ordinanza 7 maggio 2018, n. 10862; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 27 ottobre 2017, n. 25557; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 20 febbraio 2014, n. 4036).

Cassazione, sezione I civile, ordinanza 7 febbraio 2023, n. 3670 - Presidente Cristiano - Relatore Tricomi

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Procedimento civile - Competenza - Tribunale - Sezione fallimentare - Articolazione interna - Sussistenza - Conseguenze - Causa incardinata davanti al Tribunale che ha dichiarato il fallimento - Mancata indicazione della sezione fallimentare - Invalidità dell’atto introduttivo e del giudizio - Configurabilità - Esclusione. (Rd, n. 267/1942, articolo 24; Cpc, articolo 360)
La Sezione fallimentare costituisce espressione dell’organizzazione interna del Tribunale e non già un ufficio autonomo, munito di propria competenza. Ne consegue che ove la causa sia stata instaurata davanti al Tribunale che ha dichiarato il fallimento, non invalida l’atto di citazione né lo stesso giudizio il fatto che il giudice adito nel Tribunale stesso non sia indicato nella sua sezione fallimentare (Nel caso di specie, la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto infondato il motivo con cui parte ricorrente, denunciando la violazione dell’art. 24 della legge fallimentare, in relazione all’art. 360, 1 comma 1, nr. 2 e 3, cod. proc. civ., aveva censurato la sentenza impugnata per non aver riconosciuto l’incompetenza del Tribunale ordinario e rimesso la controversia alla sezione fallimentare del Tribunale; nella circostanza, infatti, la Corte di appello, nel rigettare il gravame proposto dal ricorrente avverso la sentenza impugnata, aveva ritenuto che, pur potendosi ricomprendere la controversia nella competenza funzionale della sezione fallimentare del Tribunale, essendo stata la causa decisa dal medesimo Ufficio territoriale, non si poneva, comunque, un problema di competenza, non venendo in considerazione uffici diversi, bensì soltanto sezioni diverse del medesimo Tribunale). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile I, sentenza 1° aprile 2011, n. 7579; Cassazione, sezione civile I, sentenza 15 marzo 1990, n. 2117).

Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 7 febbraio 2023, n. 3706 - Presidente Di Marzio - Relatore Crolla

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Procedimento civile - Impugnazioni - Giudizio di appello - Specificità dei motivi di gravame - Valutazione - Correlazione con la specificità della motivazione della sentenza impugnata - Necessità - Sentenza impugnata articolata in una sola e sintetica “ratio decidendi” - Riproposizione da parte dell’appellante degli argomenti già svolti in primo grado - Ammissibilità del gravame - Fondamento. (Cpc, articolo 342)
In tema di appello, presupponendo la specificità dei motivi la specificità della motivazione della sentenza impugnata, nel senso che la prima va sempre commisurata all’ampiezza ed alla portata delle argomentazioni spese dal primo giudice, qualora la sentenza impugnata si incentri su una sola e sintetica “ratio decidendi”, il motivo di appello può anche consistere nella riproposizione degli argomenti già svolti in primo grado. Infatti, sostenere il contrario, significherebbe pretendere dall’appellante di introdurre sempre e comunque in appello un “quid novi” rispetto agli argomenti spesi in primo grado, il che, a tacer d’altro, non sarebbe coerente col divieto di “nova” prescritto dall’art. 342 cod. proc. civ. (Nel caso di specie, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale la corte territoriale, ritenuto che il ricorrente avesse riprodotto la stessa trama di argomentazioni spesa davanti al giudice di prime cure, aveva di conseguenza dichiarato inammissibile il gravame ex art. 342 cod. proc. civ. per difetto di specificità dei relativi motivi). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 26 luglio 2021, n.  21401; Cassazione, sezione civile III, ordinanza 4 novembre 2020, n. 24464; Cassazione, sezione civile III, ordinanza 24 aprile 2019, n. 11197; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3115; Cassazione, sezione civile III, ordinanza 29 luglio 2016, n. 15790).

Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 9 febbraio 2023, n. 3929 - Presidente Cirillo - Relatore Guizzi

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Procedimento civile - Spese processuali - Responsabilità aggravata - Art. 96, comma 3, c.p.c. - Condanna della parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata - Natura di sanzione di carattere pubblicistico - Applicabilità - Presupposti - Abuso dello strumento processuale - Necessità - Fattispecie relativa a controversia insorta in materia previdenziale. (Cpc, articolo 96)
In tema di spese processuali, la disposizione di cui all’art. 96, comma 3 cod. proc. civ. prevede una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata previste dai commi 1 e 2 volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente (Nel caso di specie, nel rigettare il ricorso proposto dall’ente previdenziale privatizzato ricorrente contro la sentenza impugnata che aveva respinto l’appello avverso la decisione di prime cure di accoglimento della domanda del professionista controricorrente volta a sentire dichiarare l’illegittimità delle trattenute sulla pensione a titolo di contributo di solidarietà con restituzione delle somme indebitamente trattenute, la Suprema Corte ha disatteso la domanda di condanna per responsabilità aggravata formulata, ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. da quest’ultimo: nella circostanza, infatti, non ricorreva un’ipotesi assimilabile ad una di quelle esemplificativamente previste dalla giurisprudenza di legittimità, quali la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi palesemente inammissibili, oppure incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata, o completamente privi di autosufficienza, oppure contenenti la mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia, oppure, ancora, fondati sulla deduzione del vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., ove sia applicabile, “ratione temporis”, l’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ.). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, ordinanza 4 agosto 2021, n. 22208; Cassazione, sezione civile L, sentenza 15 febbraio 2021, n. 3830; Cassazione, sezione civile VI, sentenza 24 settembre 2020, n. 20018).

Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 9 febbraio 2023, n. 4000 - Presidente Esposito - Relatore Amendola

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Procedimento civile - Poteri del giudice - Corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato - Pronuncia di condanna del debitore al pagamento di una somma maggiore rispetto a quella domandata dal creditore - Vizio di ultrapetizione - Sussistenza - Fattispecie relativa a controversia insorta nel quadro di un contratto di appalto. (Cc, articolo 1655; Cpc, articolo 112)
Ricorre il vizio di ultrapetizione ove il giudice pronunci una sentenza di condanna dell’obbligato al pagamento di somma maggiore rispetto a quella domandata dal creditore (Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta nell’ambito di un contratto di appalto avente ad oggetto l’esecuzione di lavori di ristrutturazione di due immobili, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso proposto dalla committente, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, con la quale la corte del merito aveva accolto parzialmente sia l’appello principale dell’appaltatrice che quello incidentale della committente medesima, e pertanto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannato la ricorrente a pagare alla controricorrente un importo comprensivo di IVA oltre interessi legali condannando al contempo quest’ultima a pagare alla prima altro importo oltre IVA ed interessi; nella circostanza, infatti, la somma originariamente richiesta in via monitoria dalla società appaltatrice creditrice era pari ad euro 66.166,19, Iva inclusa, mentre, all’esito del gravame, il giudice d’appello aveva condannato la committente a pagare una somma pari ad euro 67.552,18, anch’esso comprensivo di IVA, e pertanto di importo maggiore rispetto a quello domandato). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile I, sentenza 6 dicembre 1978, n. 5755).

Cassazione, sezione II civile, ordinanza 9 febbraio 2023, n. 4011 - Presidente e relatore Orilia

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Procedimento civile - Giurisdizione - Edilizia residenziale pubblica - Giudizio di opposizione a provvedimento amministrativo di rilascio di immobile ad uso abitativo occupato senza titolo - Giurisdizione del giudice ordinario - Sussistenza - Fondamento. (Dlgs, n. 104/2010, articolo 111; Cpc, articoli 37, 41 e 474)
In tema di edilizia residenziale pubblica, la controversia introdotta da chi si opponga ad un provvedimento dell’Amministrazione comunale di rilascio di immobili ad uso abitativo occupati senza titolo rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, essendo contestato il diritto di agire esecutivamente e configurandosi l’ordine di rilascio come un atto imposto dalla legge e non come esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione, la cui concreta applicazione richieda, di volta in volta, una valutazione del pubblico interesse. Tale principio è applicabile anche qualora sia dedotta l’illegittimità di provvedimenti amministrativi (diffida a rilasciare l’alloggio e successivo ordine di sgombero), dei quali è eventualmente possibile la disapplicazione da parte del giudice, chiamato a statuire sull’esistenza delle condizioni richieste dalla legge per dare corso forzato al rilascio del bene (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario, presso il quale ha rimesso le parti, previa cassazione dell’ordinanza del tribunale adito dichiarativa del difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo, il quale, a sua volta, aveva sollevato conflitto negativo di giurisdizione, ai sensi dell’art. 11, comma 3, del Codice del processo amministrativo, ritenendo la controversia devoluta alla giurisdizione ordinaria; nella circostanza, infatti, osserva la decisione in epigrafe, pur avendo la controversia preso avvio dalla decisione negativa dell’Amministrazione in ordine alla sussistenza del diritto del ricorrente al subentro nell’alloggio di edilizia residenziale pubblica, nella sostanza, il giudizio era rivolto a contestare l’ordine di sgombero dell’appartamento, per mancanza di un regolare titolo esecutivo; ne consegue, conclude il giudice di legittimità, che il ricorrente intende far valere un diritto soggettivo, mentre le Amministrazioni pubbliche non godono di alcun potere discrezionale né hanno titolo per esercitare un pubblico potere, essendo la controversia in tutto identica a quella che potrebbe intercorrere tra due privati). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezioni civili unite, ordinanza 28 maggio 2021, n. 15013; Cassazione, sezioni civili unite, ordinanza 15 gennaio 2021, n. 621; Cassazione, sezioni civili unite, ordinanza 13 ottobre 2017, n. 24148; Cassazione, sezioni civili unite, ordinanza 7 luglio 2011, n. 14956).

Cassazione, sezioni civili unite, ordinanza 9 febbraio 2023, n. 4012 - Presidente Spirito - Relatore Cirillo

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Procedimento civile - Impugnazioni - Giudizio di appello - Domande nuove - Deduzione da parte del convenuto di acquisto per usucapione - Eccezione anche ad altro titolo già formulata in primo grado - Violazione del divieto dello “ius novorum” - Sussistenza - Esclusione - Fondamento . (Cc, articoli 948 e 1158; Cpc, articoli 112 e 345)
In tema di giudizio di appello, non incorre nella violazione del divieto dello “ius novorum” la deduzione, da parte del convenuto, dell’acquisto per usucapione della proprietà dell’area rivendicata da controparte qualora già in primo grado egli abbia eccepito anche ad altro titolo l’acquisto della proprietà dell’area medesima, in quanto la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non assolve ad una funzione di specificazione della domanda o dell’eccezione, ma è necessaria ai soli fini della prova (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, con la quale la corte territoriale, nel rigettare tanto l’appello principale quanto quello incidentale, aveva ritenuto inammissibile, con conseguente mancata valutazione ed omessa decisione sulla stessa, l’eccezione riconvenzionale di usucapione proposta dalla ricorrente giudicandola tardivamente avanzata sia in primo grado che in sede di gravame). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile II, sentenza 23 agosto 2019, n. 21641; Cassazione, sezione civile II, sentenza 8 gennaio 2015, n. 40).

Cassazione, sezione II civile, ordinanza 10 febbraio 2023, n. 4196 - Presidente Lombardo - Relatore Carrato

 

 

 

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