Cessata materia del contendere, il soccombente virtuale paga le spese
Non è senza conseguenza economiche chiamare in causa la persona sbagliata anche se poi, nel corso del procedimento, si trova un accordo, rinunciando così al giudizio. Nei casi di cessata materia del contendere, infatti, il giudice deve porre il pagamento delle spese processuali in capo alla parte che secondo un giudizio prognostico aveva più possibilità di vedere accolte le proprie ragioni. Il Giudice di Pace di Trapani, Vincenzo Vitale, sentenza 4 novembre 219, ha così deciso che gli attori dovranno rifondere 380 euro di spese legali (oltre spese generali, Iva e Cpa) alla parte erroneamente convenuta in "tribunale".
La coppia attrice aveva citato in giudizio in qualità di erede una donna «al fine di ottenere sentenza dichiarativa di perdita di possesso del veicolo, dagli attori ceduto al de cuius». Costituendosi in giudizio, la parte convenuta "provava documentalmente" di non essere giuridicamente l'erede, avendo rinunciato all'eredità con atto di volontaria giurisdizione. Si giungeva così all'udienza di precisazione delle conclusioni, dove entrambe le parti chiedevano dichiararsi la cessazione della materia del contendere (avendo raggiunto un accordo privato sul contenzioso), ma la convenuta insisteva nella condanna degli attori alle spese legali.
Per il Gdp la richiesta è legittima in quanto la parte era stata coinvolta per una errata valutazione degli istanti. In queste senso va condiviso, prosegue la decisione, l'orientamento della Suprema Corte (n. 24234/16) secondo cui «se le parti trovano un accordo durante la causa o questa comunque si chiuda per qualsiasi altra ragione con un provvedimento di cessata materia del contendere, il giudice non potrà – salvo diverso accordo tra le parti – dichiarare la compensazione delle spese di giudizio, ma dovrà pronunciarsi su di esse secondo la regola della cosiddetta "soccombenza virtuale", ossia in base alla "normale" probabilità di accoglimento della pretesa di parte su criteri di verosimiglianza o su indagine sommaria di delibazione del merito». Così è scattata la condanna, ai sensi dell'articolo 91 c.p.c. degli attori.
In questa materia, continua la decisione, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, l'ammissione al gratuito patrocinio nel processo civile, non comporta che siano a carico dello Stato le spese che l'assistito dal beneficio sia condannato a pagare all'altra parte risultata vittoriosa, perché "gli onorari e le spese" di cui all'art.131 Dpr 115/2002 sono solo quelli dovuti al difensore della parte ammessa al beneficio, che lo Stato, sostituendosi alla stessa parte – in considerazione delle sue precarie condizioni economiche".
Infine, "considerato l'accordo raggiunto", il giudice ha ritenuto di applicare l'articolo 134 comma 3 del testo unico sulle Spese di Giustizia, secondo cui «nelle cause che vengono definite per transazione, tutte le parti sono solidalmente obbligate al pagamento delle spese prenotate a debito, ed è vietato accollarle al soggetto ammesso al patrocinio. Ogni patto contrario è nullo».
Giudice di Pace di Trapani – Sentenza 4 novembre 2019 n. 3542/18