Penale

Chi guida l’auto non deve garantire l’abilità di un pilota

di Guido Camera

Il conducente di un veicolo coinvolto in un incidente mortale va giudicato avendo come riferimento un guidatore di media capacità: non si può pretendere che, in una situazione di pericolo, esegua una manovra di emergenza da esperto pilota. Anche se viene dimostrato che la manovra avrebbe potuto evitare la collisione letale con un altro veicolo più vulnerabile. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n.1713 del 15 gennaio.

Una pronuncia importante non solo perché si aggiunge alla variegata giurisprudenza su quanto è lecito che ogni conducente faccia affidamento sulla prudenza e l’abilità degli altri, ma anche perché l’anno scorso la pandemia ha abbattuto gli ostacoli che per anni avevano impedito di introdurre nel Codice della strada norme che consentono ai ciclisti di circolare con più libertà, in certi casi anche contromano. Ciò è accaduto con la conversione in legge del decreto Semplificazioni (Dl 76/2020).

La sentenza si occupa del caso del conducente di un’auto accusato dell’omicidio colposo del guidatore di un ciclomotore: mentre i due veicoli viaggiavano nello stesso senso, quello a due ruote aveva fatto inversione di marcia improvvisamente e senza segnalarla, urtando col fianco sinistro la parte anteriore della vettura. Nel processo era emerso che, se l’automobilista non avesse scartato a sinistra quando il ciclomotore aveva iniziato la manovra vietata ma avesse girato a destra o proceduto dritto, lo scontro avrebbe potuto essere evitato. Ma il perito dei giudici aveva spiegato che la manovra tentata dall’imputato per evitare l’impatto «sebbene non efficace, era quella che avrebbe compiuto un guidatore di ordinarie esperienza e capacità», cioè cercare di evitare l’urto lasciandosi il ciclomotore sulla propria destra, «confidando verosimilmente nel fatto che il conducente di esso desistesse dal proprio temerario e non consentito intento» rientrando a destra.

Per la Cassazione, se è vero che nella circolazione stradale il principio dell’affidamento sulla correttezza dell’operato altrui ha ambito di applicazione più ridotto che in altri settori, non può essere spinto all’estrema conseguenza di esigere dal conducente “medio” di saper guidare come un pilota e far fronte al pericolo causato da chi crea «una turbativa colposa della circolazione».

Si tratta ora di capire come questo condivisibile principio di diritto possa convivere nel futuro della cosiddetta mobilità dolce che il Dl 76/2020 ha iniziato a dipingere dalla scorsa estate: tra le novità principali vi sono le «strade urbane ciclabili», dove possono viaggiare insieme veicoli a motore, biciclette e monopattini. Questi ultimi, in taluni casi, anche contromano. La norma prevede un onere rafforzato di diligenza a carico del conducente del veicolo a motore, in favore di viaggia su un mezzo più vulnerabile. Ma, seguendo il ragionamento della Cassazione, questa maggiore attenzione non si traduce in un obbligo di maggiore destrezza rispetto a condotte di guida particolarmente pericolose e lesive della sicurezza della circolazione stradale di cui si siano resi protagonisti biciclette e monopattini.

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