Civile

Cila non impugnabile dal terzo, possibile il ricorso contro il silenzio assenso

La Cassazione, sentenza n. 27195 depositata oggi, ha condannato la ricorrente a pagare una somma per abuso del processo ex riforma Cartabia, per un giudizio pendente il 28 febbraio 2023

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di Francesco Machina Grifeo

L'unica forma di tutela del terzo di fronte alla CILA (Scia o Dia) è rappresentata dall'azione avverso il silenzio (ex art. 31, c. 1 e 2, c.p.a.). La parte non può dunque proporre un ricorso impugnatorio avverso la CILA in quanto "del tutto decontestualizzato dall'impianto normativo di riferimento". Lo hanno confermato le Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 27195 depositata oggi, dichiarando inammissibile il ricorso per revocazione contro una decisione del Consiglio di Stato, condannando la ricorrente a pagare una somma aggiuntiva per "abuso del processo" in applicazione di quanto previsto dalla Riforma Cartabia.

Il caso era quello di una donna che aveva impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica la CILA depositata da una s.r.l. per comunicare la realizzazione di un lucernario sul tetto di uno degli edifici condominiali domandandone l'annullamento. A seguito della trasposizione in sede giurisdizionale, la controversia è proseguita innanzi Tar Liguria che ha respinto il ricorso, dichiarandolo in parte inammissibile e in parte infondato. Proposto ricorso il Cds ha confermato la decisione di primo grado.

Contro questa decisione è stato poi proposto ricorso per revocazione dichiarato inammissibile. Contro questa decisione la ricorrente ha avanzato ricorso in Cassazione. A questo punto la Prima Presidente ha formulato proposta di definizione del giudizio avendone rilevato l'inammissibilità. La ricorrente ha però chiesto la decisione del ricorso formulando apposita istanza.

Avendo poi la Corte definito il giudizio in conformità della proposta sono stati applicati il terzo e il quarto comma dell'articolo 96, come previsto dall'art. 380 bis ultimo comma. Si tratta di una novità normativa (introdotta dall'art. 3, comma 28, lett. g), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall'art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 149/2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma). È stata così codificata una ipotesi di abuso del processo, da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale.

Quanto alla disciplina intertemporale, la Corte rileva che essa – in deroga all'art. 35 comma 1 del Dlgs 149/2022 – è immediatamente applicabile a seguito dell'adozione di una decisione conforme alla proposta, sebbene per giudizi già pendenti alla data del 28 febbraio 2023. E infatti la norma è destinata a trovare applicazione anche nei giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio.

"Una diversa interpretazione (volta ad applicare la normativa in esame ai giudizi iniziati in data successiva al 28 febbraio 2023) – prosegue la decisione - finirebbe, a ben vedere, per depotenziare fortemente la funzione stessa della norma e contrastare con la sua ratio, che mira ad apprestare uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l'individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare ipotesi di abuso del diritto di difesa".

Diversamente si dovrebbe "attendere verosimilmente diversi anni" per vedere riconosciuta la piena efficacia della norma, in contrasto con il chiaro intento del legislatore "di offrire nell'immediato uno strumento di agevole e rapida definizione dei ricorsi che si palesino inammissibili, improcedibili ovvero manifestamente infondati, e consentendo alla Corte di concentrarsi su quelli che invece si presentino meritevoli di un intervento nomofilattico o che all'inverso meritino un attento esame". Ragion per cui la parte ricorrente è stata condannata al pagamento della somma di 2.000 euro in favore della Cassa delle Ammende (oltre a un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso).

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