Responsabilità

Colpa medica: il paziente deve dimostrare il nesso causale tra la prestazione e il danno

Il paziente si era rivolto anche da altri dentisti che hanno reso ancor più complesso la determinazione del quantum del danno

di Giampaolo Piagnerelli

Il paziente che vuole citare in giudizio il dentista per il lavoro mal eseguito deve procedere all'accertamento del nesso causale tra la prestazione professionale e il danno accusato. Lo precisa la Cassazione con ordinanza n. 15108/21. Un soggetto ha proposto opposizione a un decreto ingiuntivo intimatogli dal tribunale di Vicenza in favore di un dentista per l'importo di circa 6mila euro, a titolo di pagamento di prestazioni odontoiatriche.

Il ricorrente ha puntualizzato che le prestazioni non erano state eseguite a regola d'arte, al punto che egli aveva accusato fastidiosi scricchiolii alla mandibola, acufeni e vertigini. Rivoltosi ad altro professionista aveva appreso che il primo dentista non aveva provveduto ad applicare, prima dei definitivi denti in porcellana, dei denti in resina più elastici che avrebbero garantito il buon esito della prestazione professionale. Oltre a opporsi al decreto ingiuntivo, il ricorrente ha chiesto anche il risarcimento dei danni. Il convenuto si è costituito difendendo il proprio operato, e ha assunto che la prestazione non era stata ultimata perché il paziente non si era presentato alle visite. Il tribunale adito, dopo aver assunto prove orali ed espletata una ctu, ha ritenuto che le prove acquisite avessero confermato la prospettazione difensiva del convenuto con il conseguente rigetto dell'opposizione. Visto quindi che i giudici di primo grado hanno dato ragione al professionista, il paziente ha proposto ricorso in Corte d'appello.

Quest'ultima con sentenza n. 2444/18, ha rigettato l'appello ritenendo mancante la prova della non corretta esecuzione della prestazione da parte del professionista specie con riguardo alla pretesa mancata esecuzione dell'impianto in resina ritenuta inattendibile e l'assenza del nesso causale tra la prestazione eseguita e i disturbi di acufene e vertigini lamentati dal paziente, anche in ragione del fatto che sull'impianto erano intervenuti diversi professionisti. In sostanza mancava il nesso causale che avrebbe riconosciuto il risarcimento da parte del dentista.

La Cassazione si è espressa in linea con i giudici di appello. La circostanza che sul lavoro eseguito dal primo dentista avessero messo mano altri colleghi rendeva impossibile ascrivere al primo dei danni (che così erano inqualificabili). Ciò rendeva impossibile comprendere quali danni potessero essere ricondotti alla prestazione originaria. E' evidente – si legge nella sentenza – che essendosi la decisione fermata prima dell'accertamento della colpa, il ricorrente anzichè soffermarsi sulla pretesa violazione delle regole di riparto dell'onere della prova sulla diligenza professionale, avrebbe dovuto impugnare la statuizione che ha escluso la possibilità di accertamento del nesso causale tra la prestazione professionale e il danno.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©