Penale

Commette reato anche il recuperatore che riceve rifiuti senza formulario

Sanzionata l’inosservanza di prescrizioni autorizzatorie rilevanti

di Paola Ficco

I rifiuti non accompagnati dal formulario non possono essere accettati dal recuperatore consapevole delle dichiarazioni fraudolente del conferitore. Diversamente, è responsabile del reato di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie di cui all'articolo 256, comma 4, del decreto legislativo 152/2006.

In estrema sintesi è questa la conclusione cui giunge la sentenza n. 33420 del 9 settembre 2021 con la quale la III Sezione penale della Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza di condanna della Corte d’appello di Firenze che aveva confermato la decisione del Tribunale di Firenze. Nel caso concreto si trattava di rottami ferrosi, ma il principio si applica a tutto.

I giudici di merito e di legittimità hanno fornito una lettura granitica del ricorrente fenomeno di soggetti che si recano presso gli impianti di recupero di rifiuti affermando di essere semplici cittadini e come tali non soggetti al formulario (obbligatorio, quasi sempre, solo per “enti e imprese”). Il reiterarsi dei conferimenti rende evidente che non si tratta di semplici cittadini ma di soggetti che svolgono una vera e propria attività commerciale. Gestione e presa in carico di materiali non tracciabili, con la consapevolezza che le dichiarazioni dei conferitori «erano finalizzate esclusivamente a eludere gli obblighi di documentazione e contenevano informazioni non veritiere».

La Cassazione ricorda che l'articolo 256, comma 4, è una tipica norma penale “in bianco”, il cui contenuto è delimitato dalle prescrizioni delle autorizzazioni in relazione alla finalità delle stesse e rappresenta un esempio «dell’apprestamento di una sanzione penale per la violazione di disposizioni e precetti o prescrizioni amministrative di particolare rilevanza» (Cass. 18891/2017).

Il reato ricorre in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie e rappresenta una precisa “deviazione” dalle modalità di esercizio dell’attività di gestione rifiuti autorizzata. Per distinguere questo reato da quello (più grave) di gestione non autorizzata di rifiuti di cui al comma 1 del medesimo articolo 256, la Suprema Corte conferma la soluzione già individuata con la sentenza, 5817/2019, con la distinzione tra requisiti e condizioni incidenti sulla medesima sussistenza del titolo abilitativo, «la cui inesistenza integra un’illecita gestione e quelli che, invece, riguardano unicamente le modalità di esercizio della medesima attività, la cui mancanza determina la sussistenza della più favorevole fattispecie prevista dal comma 4».

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