Civile

Comodato padre e figlio: senza un termine il bene va restituito se il proprietario lo richiede

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di Giuseppe Finocchiaro

Stipulato, tra padre e figlio, con atto pubblico registrato, contratto di comodato relativamente a un immobile a tempo indeterminato, senza alcuna menzione del vincolo di destinazione, il rapporto è soggetto alla norma di cui all'articolo 1810 del Cc, secondo cui in mancanza di un termine di durata il bene oggetto del comodato deve essere restituito al comodatario non appena il comodante lo richieda e tale pattuizione non può ritenersi modificata da mere situazioni di fatto. Lo ha stabilito la Suprema corte con l’ordinanza n. 12945.

Il caso esaminato - Nella specie in occasione della separazione del figlio dal proprio coniuge l'appartamento era stato assegnato a quest'ultimo. Richiesto e ottenuto, dal comodante, il rilascio dell'immobile, la ricorrente per cassazione assumeva che l'immobile era destinato ai bisogni della famiglia del comodatario, sì che il comodante non poteva richiederne la restituzione se non dopo la cessazione del vincolo di destinazione, salvo urgente e imprevisto bisogno da parte sua. In applicazione dei principi che precedono la Suprema corte ha rigettato il ricorso evidenziando che la ricorrente si era limitata a svolgere generiche considerazioni, inidonee a dimostrare la sussistenza di patti aggiunti alla originaria scrittura, debitamente consacrati per iscritto o comunque suscettibili di essere dimostrati ai sensi dell'articolo 2723 del Cc.

L’applicazione di una regola precedente - La pronunzia - pur senza menzionarla espressamente - fa puntuale applicazione, al caso di specie, della regola enunciata da Cassazione, sezioni Unite, sentenza 29 settembre 2014 n. 20448, secondo cui il coniuge assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell'immobile, l'esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare (con la conseguenza che in una tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli articoli 1803 e 1809 del Cc, sorge per un uso determinato e ha - in assenza di una espressa indicazione della scadenza - una durata determinabile per relationem, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall'insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari che avevano legittimato l'assegnazione dell'immobile.

Un altro orientamento in linea - Sempre nello stesso ordine di idee, altresì, Cassazione, sentenza 2 ottobre 2012 n. 16269 (in Contratti, 2013, 261, con nota di Passarella A., Concessione in comodato di immobile con vincolo di destinazione a casa familiare) ove il rilievo che perché sia opponibile al comodante l'assegnazione a uno dei coniugi dell'immobile adibito a casa familiare è indispensabile la specificità della destinazione dell'immobile stesso a casa familiare, impressa per effetto della concorde volontà delle parti (comodante e comodatario), altrimenti incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall'incertezza, che caratterizzano il comodato cosiddetto precario.

Il caso specifico - Atteso che nel caso ora all'attenzione del Suprema corte l'immobile era stato concesso in comodato al figlio del proprietario senza che si prevedesse che costui l'adibisse a propria abitazione coniugale è palese che per vedere accolta la propria domanda la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare alternativamente o la simulazione del contratto di comodato o la conclusione – nelle forme del caso – di patti aggiunti che avevano modificato l'originario rapporto.

Corte di cassazione – Sezione VI civile – Ordinanza 23 giugno 2015 n. 12945

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